La stufetta del Cardinal Bibbiena
di Settimio Cavalli
Durante la sua breve vita – trentasette anni esatti: nacque e morì un sei aprile – l’urbinate condivise con Leonardo e Michelangelo la gloria di essere i più grandi del Rinascimento italiano e, conseguentemente, dell’arte universale. Tutti e tre si formarono artisticamente in ambito culturale toscano che presto abbandonarono; Michelangelo e Raffaello furono a Roma, “communis patria” secondo la definizione di Raffaello, alla corte papale di Giulio II.
Avevano una concezione assai diversa della filosofia, della religione e della vita, e non furono amici, ma si conoscevano e si frequentavano, come racconta Valentì Gomez i Oliver nel suo divertentissimo Roma paseos por la eternidad (Apostrofe, 2001).
“Gli affreschi di Raffaello, come quello della Galleria di Psiche, che brillano come gioielli in questo splendido edificio [la villa della Farnesina] dove l’amore ebbe un ruolo preponderante dato che il mecenate [Agostino Chigi] – protettore della famosa cortigiana Imperia che si dice servisse da modella per la Galatea di Raffaello – si preoccupò vedendo che i lavori non avanzavano e fece alloggiare la Fornarina, amante di Raffaello, nella sontuosa villa. Si racconta che Michelangelo andò a trovare Raffaello e, non avendolo incontrato, dipinse per lui una deliziosa testa, singolare biglietto da visita ancor oggi visibile in un salone. Raffinate burle rinascimentali!”
Come Michelangelo, anche Raffaello ebbe una produzione ricchissima, sia in pittura sia in architettura, dipinta e reale, in cui, come succede a tutti i ‘grandi’, ci sono opere presunte o attribuite o discusse. Tra queste va considerata la Stufetta del Cardinal Bibbiena, oggi attribuita senza esitazioni a lui e alla sua bottega, come affermano, tra gli altri, Howard Burns (“La loggia, e soprattutto la stufetta del Bibbiena riprendono motivi della Domus Aurea e di sepolcri romani”, in C. L. Frommel – S. Ray – M. Tafuri, Raffaello architetto, pag. 387, Electa Editrice, Milano 1984) e Stefano Ray (“Del resto, è sufficiente pensare al rapporto che lo lega al Bibbiena [di cui avrebbe voluto sposare la nipote, secondo Vasari], per il quale realizza la straordinaria ‘stufetta’, bagno all’antica, nel cuore dei palazzi apostolici” (in cit. pag. 57).
A questo punto ci si può chiedere cosa si intende esattamente per ‘stufetta’. Il Dizionario della lingua spagnola della Real Accademia propone: “1. Piccolo manicotto di pelli leggere, fatto per coprire le mani in inverno. 2. Braciere in forma di piccola arca, con una reticella nel coperchio, per scaldarsi i piedi. 3. Scaldamano”. Ovviamente questo non ci soddisfa. Il Nuovissimo vocabolario illustrato della lingua italiana di Devoto-Oli non comprende un lemma ‘stufetta’ come tale, solo come diminutivo di ‘stufa’, ma uno dei significati di stufa è “sala delle terme di Roma, riscaldata per circolazione di aria calda”. Ecco la ‘stufetta’ o ‘bagno all’antica’. Nel caso del Cardinal Bibbiena, più uno spogliatoio che una vera stanza da bagno, anche se “due nicchie poggiano su basi di marmo ( … ) Ciascuna è ornata da un finissimo bassorilievo rappresentante una testa di satiro dai capelli d’oro ( … ) l’acqua scaturiva dalla bocca del satiro di destra in una vasca portatile” (in A. Gaüzes – D. Vacchi, Raffaello La stufetta del cardinal Bibbiena, Bruno Contarini Editore, Lugo di Ravenna 1976. Testo ripreso da D. Redig De Campos, I Palazzi Vaticani, Cappelli Editore, Bologna 1967).
Facendo parte dell’alloggio del Cardinal Bibbiena, al terzo piano del Palazzo del Vaticano, la stufetta misura solo poco più di sei metri quadrati (esattamente 252 cm per lato, e 320 di altezza al culmine della volta). Completamente affrescata, patì numerose modifiche alla struttura e agli affreschi, e oggi è di nuovo in fase di restauro e non si può visitare.
Nel 1516, essendo Papa Leone X (Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico), Leonardo è a Roma, dove ha terminato gli studi per il prosciugamento delle paludi pontine; ha sessantacuattro anni. Michelangelo, che ha terminato di affrescare la Cappella Sistina nel 1512, è alle prese con la tomba di Giulio II; ha cuarantun anni. Il trentatreenne Raffaello termina la stufetta il 20 giugno, come assicura una lettera con la stessa data di Pietro Bembo (segretario particolare di Leone X) “al Card. di S. Maria in Portico in Rubera” (in Gaüzes-Vacchi, cit.).
In un’altra lettera, di poco anteriore (19 aprile), lo stesso Bembo scriveva al Cardinale:
“Hora hora havendo io scritto fin qui; m’è sopragiunto Raphaello, credo io, come indovino, che io di lui scrivessi, et dicemi che io aggiunga questo poco; cio è che gli mandiate le altre historie, che s’hàno a dipignere nella Vostra Stufetta: cio è la scrittura delle historie: percioche quelle, che gli mandaste saranno fornite di dipignere questa settimana” (in Gaüzes-Vacchi, cit.).
Al che Redig, che fu direttore dei Musei Vaticani dal 1971 al 1978, commenta: “Alla cultura umanistica di costui [il Cardinal Bibbiena] risale anche la scelta dei temi, invero poco convenienti alla dimora di un porporato” (idem).
Otto erano i temi dei riquadri principali, 66 x 30 cm cadauno, di soggetto mitologico, e sotto ad ogni riquadro decorazioni a fondo nero che rappresentano puttini alati in un carrettino, tartarughe, chiocciole, dragoni e farfalle. Grottesche adornano la volta e le lunette. Nei riquadri maggiori sono rappresentate (o meglio, erano, dato che i numerosi interventi e gli attuali restauri sono pesanti) le seguenti storie, da sinistra a destra della vecchia porta pricipale, come registrato al n. 125 dell’ “Elenco cronologico e iconografico di tutti i dipinti di Raffaello Sanzio o a lui attribuiti” a cura di P. De Vecchi (in L’opera completa di Raffaello, Rizzoli, Milano 1967 e 1979).
Venere e Adone e uno scomparto distrutto sulla parete a settentrione, la Nascita di Erittonio e la Nascita di Venere sulla parete a oriente, Venere e Amore condotti dai delfini e Venere ferita da Amore sulla parete meridionale, Pan e Siringa e uno scomparto distrutto (raffigurante probabilmente Venere che si cava una spina) sulla parete a occidente.
Effettivamente, anche a noi sembrano “temi invero poco convenienti alla dimora di un porporato”, ma non dimentichiamo che la curia romana del Cinquecento sotto il potere di Giulio II e Leone X e le origini e il livello sociale dei cardinali erano in quel tempo molto diversi da quelli di oggi. Lo stesso Cardinale Bibbiena, il cui vero nome era Bernardo Dovizi, fu anche un letterato e la sua opera teatrale La Calandria, in verità abbastanza ‘boccaccesca’, era molto popolare in Roma in quegli anni.
Ammirando questa opera minore di Raffaello, non possiamo che condividere il giudizio di Redig De Campos:
“Come Bramante nel tempietto del Gianicolo, così Raffaello nella minuscola Stufa del Bibbiena mostra, con stile più maturo e complesso, come negli edifici la grandezza non nasce dalle dimensioni, ma dalla giusta misura”.
E ricordare con Stendhal nelle sue Passeggiate romane “i bellissimi versi del Cardinale Bembo, che sono così poco ortodossi” , dallo stesso Bembo fatti scolpire in una lapide sopra la tomba di Raffaello nel Pantheon:
Ille hic est Raphaël, timuit quo sopite vinci
Rerum magna parens, et moriente mori.
La estufilla del Cardenal Bibbiena
En el curso de su breve vida – treinta y siete años exactos: nació y murió un seis de abril – el Urbinate compartió con Leonardo y Miguel Ángel la gloria de ser los más grandes del Renacimiento italiano, y por ende del arte mundial. Se formaron los tres artísticamente en ámbito cultural toscano, que pronto dejaron; Miguel Ángel y Rafael se fueron a Roma, “communis patria” según Rafael, a la corte papal de Julio II.
Tenían una concepción de la filosofía, de la religión y de la vida muy distinta, y nunca fueron amigos, pero sí se conocían y se trataban, como cuenta Valentì Gómez i Oliver en su divertidísima Roma paseos por la eternidad (Apostrofe, 2001).
“Los frescos de Rafael, como el de la Galería de Psique, relucen como joyas en esta espléndida construcción [Villa della Farnesina] en la que el amor tuvo un papel preponderante ya que el mecenas [Agustín Chigi] – protector de la famosa cortesana Imperia de quien se dice que sirvió de modelo para la Galatea de Rafael – se preocupó viendo que el trabajo no avanzaba e hizo instalar a la Fornarina, amante de Rafael, en la suntuosa villa. Se cuenta que Miguel Ángel fue a visitar a Rafael y como no lo encontró le pintó una preciosa cabeza, singular tarjeta de visita en una sala todavía hoy visible. ¡Refinadas bromas renacentistas!”
Como Miguel Ángel, Rafael también tuvo una producción riquísima, pictórica y arquitectónicamente – bien arquitectura pintada, bien arquitectura real – en la que, como pasa por todos los ‘grandes’, hay obras presuntas o atribuidas o discutidas. Entre ellas, estuve la Estufilla del Cardenal Bibbiena, hoy en día atribuida sin tapujos a él y su taller, como aseveran, entre otros, Howard Burns (“la galería, y sobre todo la estufilla de Bibbiena, recobran ornados sepulcrales romanos y de la Domus Aurea”; ver C. L. Frommel – S. Ray – M. Tafuri, Raffaello architetto, Electa Editrice, Milano 1984) y Stefano Ray (“Por otra parte, solo hay que considerar la relación que tiene con Bibbiena [según Vasari, quería casarse con su sobrina], por el cual realiza la extraordinaria estufilla, cuarto de baño a la antigua, en el corazón de los palacios apostólicos”; Frommel, cit. ).
Ahora, hay que preguntarse qué es exactamente una ‘estufilla’. El Diccionario de la lengua española de la Real Academia propone: “1 – Manguito pequeño hecho de pieles finas, para llevar abrigadas las manos en el invierno. 2 – Rejuela, brasero en forma de arca pequeña y con rejilla en la tapa, para calentarse los pies. 3 – Brasero de mano”. Claro está que esto no nos satisface. El Nuovissimo vocabolario illustrato della lingua italiana di Devoto-Oli no tiene el término ‘stufetta’ como tal, solo lo considera diminutivo de ‘stufa’, y uno de los significados de ‘stufa’ es “cuarto de las termas de Roma, calentado por circulación de aire caliente”. Aquí tenemos la ‘estufilla’ o “cuarto de baño a la antigua”. En el caso del Cardenal Bibbiena, más un vestuario que un verdadero cuarto de baño, si bien “dos hornacinas encumbran basamentos de mármol ( … ) adorna cada hornacina, en finísimo bajorrelieve, una cabeza de sátiro melena de oro ( … ) el agua brotaba desde la boca del sátiro a la derecha en una tuna portátil” (ver A. Gaüzes – D. Vacchi, Raffaello La stufetta del Cardinal Bibbiena, Bruno Contarini Editore, Lugo di Ravenna 1976. El texto pertenece a D. Redig De Campos, I Palazzi Vaticani, Cappelli, Bologna 1967).
Perteneciente al aposento del Cardenal Bibbiena, en el tercer piso del Palacio Vaticano, la estufilla mide solamente poco más de seis metros cuadrados (exactamente 252 cm de ancho y largo, y 320 cm de alto a nivel del colmo de la bóveda de crucería). Decorada al fresco, sufrió numerosas modificaciones, estructurales y pictóricas. En la actualidad está otra vez en restauración, y no se puede visitar.
En el año 1516, siendo papa León X (Juan de Medici, hijo de Lorenzo el Magnifico), Leonardo está en Roma, donde acabó los proyectos para desaguar los Pantanos Pontinos; tiene sesenta cuatro años. Miguel Ángel, que acabó los frescos de la Capilla Sixtina en 1512, está ocupado con la tumba de Julio II; tiene cuarenta un años. El treintatresañero Rafael acaba la estufilla el 20 de junio, como atestigua una carta, misma fecha, de Pietro Bembo (secretario particular de León X) al “Card. de S. María in Portico in Rubera” (ver Gaüzes-Vacchi cit.).
En otra carta, un poco anterior (diecinueve de abril), el mismo Bembo escribía al Cardenal (la traducción es literal, solo he adaptado la puntuación al uso castellano):
“Ahora en este momento, habiendo yo escribido hasta aquí, llegó Raphael; creo que sí como adivinando que yo estuviera escribiendo de él, y me pide que añade esto: o sea que tenéis que enviar a él las demás fabulas que hay que pintar en la Vuestra Estufilla. O sea el texto de las fabulas, por lo que las que enviaste, irán a terminar de pintarse esta semana”.
Deoclecio Redig De Campos, quien fue director de los Museos Vaticanos desde 1971 hasta 1978, comenta: “Su [del Cardenal Bibbiena] cultura humanística es también responsable de la elección de los temas, en verdad poco convenientes en la morada de un cardenal” (ver. Gaüzes cit.).
Ocho eran los argumentos de los recuadros principales, de 66 x 30 cm cada uno, de sujeto mitológico, y bajo cada recuadro decoraciones con fondo negro que representan niños alados en carritos, tortugas, caracoles, dragones y mariposas. Grotescas adornan la bóveda y los lunetos. En los recuadros principales están representados (o estaban, ya que las restauraciones fueron importantes sin estar aún terminadas), de izquierda a derecha de la puerta antigua, como registrado en el n. 125 del “Repertorio cronológico e iconográfico de todas las pinturas de Rafael Sanzio o atribuidas a él” a cargo de P. De Vecchi (La obra pictórica completa de Rafael, Noguer Editorial, Barcelona 1968), las siguientes figuras:
Venus y Adonis y una sección, destruida, en la pared Norte, Nacimiento de Erictonio y Nacimiento de Venus, en la pared oriental, Venus y Amor conducidos por delfines y Venus herida por Amor, en la pared Sur, Pan y Siringa y una sección destruida (que representaba probablemente a Venus que se saca una espina) en la pared occidental.
Efectivamente, a nosotros también nos parecen temas muy poco convenientes para la morada de un cardenal, pero no olvidemos que la curia romana de mil quinientos bajo el poder de Julio II y León X, y la origen y el estado social de los cardenales eran en aquel tiempo muy distintos de lo de hoy. El mismo Cardenal Bibbiena, cuyo verdadero nombre era Bernardo Dovizi, fue también literato, y su obra teatral La Calandria, en verdad bastante ‘boccacesca’, fue muy popular en la Roma de aquel tiempo.
Mirando esta obra menor de Rafael, solo podemos compartir el juicio de Redig De Campos:
“Así como Bramante en el templete del Janículo, igualmente Raphael en la minúscula estufa del Bibbiena demuestra, bajo un estilo más maduro y complejo, que en la edificación la grandeza no llega desde el tamaño, más bien desde la perfección de la medida.”
y acordarse con Stendhal, en su Paseos por Roma, “los versos preciosos del Cardenal Bembo, tan poco ortodoxos” que el mismo Pietro Bembo hizo esculpir en lápida por encima de la tumba de Rafael, en el Panteón:
Aquí está Raphael, por aquel, vivo, la Naturaleza
temía ser ganada, y morirse cuando él muriera.