Cante Gabrielli, l’esiliatore di Dante
di Anna Maria Barbaglia
Appartenne alla nobile famiglia che godette di una estrema fiducia presso la Santa Sede tanto che molti Gabrielli ebbero un ruolo importante nel periodo delle lotte tra guelfi e ghibellini. Era fratello di Bino, podestà di Firenze nel 1306, padre di Jacopo o Giacomo, senatore di Roma, capitano di guardie e due volte podestà di Firenze. Oltre che a Firenze, fu podestà di Gubbio, Siena, Todi, Pistoia e Lucca.
La sua notorietà è dovuta in primo luogo alle due sentenze di condanna di Dante Alighieri, 27 gennaio e 10 marzo 1302.
Ma vediamo come.
Nel settembre del 1300 la lotta tra guelfi e ghibellini, tra papali e antipapali nonché tra guelfi bianchi e neri era al culmine.
Il papa Bonifacio VIII diede l’incarico a Carlo di Valois di fare da paciere tra le varie fazioni e diede ordine al Gabrielli di affiancare in quest’opera il Valois perché ritenuto di notevole esperienza politica ed anche perché fedele alla politica della chiesa.
L’1 novembre 1301 Carlo di Valois entrò in Firenze insieme a Cante Gabrielli ed il 9 novembre il Valois affidò al Gabrielli la più alta carica della città, fu nominato Podestà con il preciso compito di riportare la convivenza civile tra le varie fazioni fiorentine. In realtà iniziò un periodo di repressione verso tutti coloro che erano ritenuti ostili ai voleri del Papa.
Fu, sotto questa veste che il Gabrielli pubblicò le due sentenze contro Dante con le accuse di concussione e baratteria, sentenze che furono registrate nel Libro del Chiodo del Comune di Firenze.
La prima sentenza prevedeva una pena pecuniaria, il divieto a vita di partecipare alla vita pubblica di Firenze ed all’esilio per due anni dalla Toscana pro bono pacis.
La seconda fu più severa perché il Poeta non aveva ottemperato alla prima: fu condannato al rogo igne comburatur sic quod moriatur, alla distruzione delle sue case ed alla confisca di tutti i suoi beni. Ovviamente Dante preferì non ritornare a Firenze.
Chi era Cante Gabrielli?
Era un condottiero di ventura e come condottiero lo troviamo in azione in Umbria nel maggio del 1300 quando Gubbio cade nelle mani dei ghibellini toscani e marchigiani guidati da Uguccione della Faggiuola. Cerca a Roma i soccorsi presso il cardinale Napoleone Orsini. A giugno, per la festa di San Giovanni, fa entrare in Gubbio numerosi soldati sotto le mentite spoglie di pellegrini e fa insorgere la città aprendo le porte alle truppe guelfe e Federico da Montefeltro, Uberto Malatesta e Uguccione della Faggiuola sono costretti a lasciare la città, mentre il nostro Cante ne diviene signore. I ghibellini rimasti in città sono fatti oggetto di ripicche ed esecuzioni sommarie.
Nel 1301 la sua azione si svolge in Toscana ed in piena estate dell’anno successivo deve rientrare in Umbria per contrasti sopraggiunti con i suoi oppositori.
Lo ritroviamo a Gubbio nel mese di aprile del 1306 dove riceve la nomina a podestà di Arcevia di cui è anche capitano e nel 1307 come compilatore di un secondo elenco di ghibellini proscritti. In questo frangente Cante si qualifica come difensore del Comune e del Popolo.
Nel 1314 lo troviamo come podestà del comune di Orvieto.
L’anno successivo fa rientro a Gubbio nella veste di estensore di un terzo elenco di ghibellini soggetti a proscrizione.
Il 1320 è l’anno in cui viene inviato ad Assisi, giunge al ponte del Chiagio e pone sotto assedio Bastia Umbra, costruisce un battifolle ponendovi a guardia Francesco da Città di Castello assistito da 250 fanti ed inizia a depredare il territorio circostante impossessandosi dei borghi che circondano la stessa Bastia. Poncello Orsini lo sostituisce nel comando ed ottiene la resa della località.
Nell’estate dell’anno successivo lo troviamo come capitano di guerra per conto di Perugia a trattare con Assisi, si scontra con i ghibellini di Spoleto e conquista il castello di Torranca, Assisi si arrende e Cante detta condizioni di pace agli abitanti, condizioni per la verità molto miti.
All’inizio del 1322 dai perugini viene riconfermato capitano di guerra per ulteriori sei mesi ed ha il comando di tutte le truppe guelfe di Perugia, Gubbio, Orvieto e Spoleto. Si ferma nel forte di Colderba (località vicina ad Assisi) ed alla sua guardia vi pone 400 fuoriusciti di Assisi, sconfigge i ghibellini, assedia Assisi ed ottiene una torre vicino alle mura dietro esborso di 500 fiorini.
Nel mese di marzo ottiene a patti Assisi con l’aiuto di Ugolino Trinci, signore di Foligno e l’atto di resa viene firmato nella chiesa di San Francesco, ma i perugino non rispettano le clausole della resa, mettono a sacco Assisi uccidendo un centinaio di persone ed abbattono mura e porte.
Dopo una pausa in quanto si era recato nelle Marche, torna a Perugia nel 1323 e riprende il conflitto con Assisi ponendo un nuovo assedio.
Nel maggio del 1334 lo troviamo nelle vesti di podestà di Orvieto.
L’anno successivo muore a Gubbio, forse avvelenato dai suoi avversari locali, ma le notizie sulla sua morte sono scarse e ciò ha dato luogo a numerose illazioni che riguardano lo stesso Dante Alighieri. Secondo alcuni lo stesso Dante lo avrebbe fatto avvelenare per la condanna inferta.
Altra teoria lo vorrebbe ritirato a vita religiosa in un monastero per espiare i suoi delitti e parzialità nel comminare condanne.
Alcuni studiosi dell’Alighieri vedrebbero Cante rappresentato nella Divina Commedia come il diavolo Rubicante che Dante incontra nella bolgia dei barattieri.
A lui Giosuè Carducci nel 1874 dedica un sonetto incluso nella raccolta Giambi ed Epodi.
Di lui si disse che era ardito e valoroso, ma anche severo e minaccioso.