Nascita e storia del fumetto, mezzo di crescita e formazione culturale di massa (II parte)
A cura di Alfonso Licata
All’inizio del XX° secolo emergono le prime forme di “nazionalizzazione delle masse infantili”, che poi si estendono su ben più vasta scala sotto il governo fascista con tutte le sue strutture di controllo dei mezzi di comunicazione , in particolare rivolgendosi verso gli strati più giovani della popolazione italiana.
Come è noto, la nazionalizzazione dei giovani diventa un fattore decisivo per la più ampia nazionalizzazione delle masse, in quanto il bambino non è solo la parte di un insieme, il popolo, ma ne è il prototipo cioè la forma primitiva, nel senso che la politica, nel fascismo, tratta questo popolo come un “giovane” da educare, conquistare, sedurre, per trasformarlo in un punto di forza nella competizione fra le nazioni.
Nell’ottica di mobilitazione delle masse e di persuasione del popolo, le immagini assumono un ruolo fondamentale. Il fascismo mostra una marcata propensione e simpatia per il linguaggio delle immagini. A ciò si aggiunge la caratteristica precipuamente pedagogica, didascalica e persuasoria dello stile comunicativo del Duce. Appare abbastanza normale che un regime, guidato da un maestro di scuola elementare e poi giornalista, dedichi attenzione al fumetto, che rappresenta in fondo un genere di giornalismo illustrato per l’infanzia. Nel febbraio del 1923 esce nelle edicole “Il Balilla”, giornalino a fumetti che trasfigura in eroi i protagonisti della Marcia su Roma di pochi mesi prima, e che si pone in concorrenza con “Il Corriere dei Piccoli” al quale si ispira nella grafica. L’editoriale firmato da Dino Grandi recita: ” Saluto! Il nostro giornale è dedicato ai fanciulli italiani. Questi viventi fiori della nostra razza, educati al ricordo degli eroismi compiuti da quegli altri fanciulli che andarono alla guerra cantando e fermarono l’invasore sul Piave, e all’esempio di quelli che per la seconda volta salvarono l’Italia nelle vie, nelle chiese, nelle piazze, nelle campagne, riconquistando alla Madre tutti i suoi figli. I nostri Balilla, raccolti in schiere ordinate, che saranno domani falangi animose, troveranno in queste pagine l’alimento della loro intelligenza e del loro cuore”.
Subito dopo “Il Balilla” esce “Il Giornalino” di ispirazione cattolica.
L’editoria per ragazzi prolifera e si diffonde moltissimo negli anni Trenta, soprattutto per impulso di editori come Nerbini e Mondadori, promotori di pubblicazioni di vario genere, in sintonia con la filosofia del regime.
Il primo settimanale italiano a fumetti è “Jumbo“, che dal dicembre 1932 pubblica storie a puntate sulla falsariga dell’Inglese “Rainbow” e dà vita al primo eroe di fumetti fascista, attuando un compromesso tra la vecchia didascalia e il balloon. Il 31 dicembre dello stesso anno, di fronte alla crescente notorietà dei personaggi disneyani, Nerbini importa Michy Mouse pubblicando il primo numero di “Topolino“. Lo stesso Nerbini lancia nel 1934 il settimanale di grande successo “L’Avventuroso“, che per primo elimina le didascalie e le sostituisce con delle nuvolette (balloons), e ospita nei suoi fumetti quasi esclusivamente eroi americani subito popolarissimi: Flash Gordon, Mandrake, l’Uomo mascherato. Qualche mese dopo esce “L’Audace“, anch’esso con eroi di provenienza americana, in particolare Tarzan. C’è poi “Lucio l’Avanguardista” (versione italiana di “Rob The Rover”), che propone le avventure di un aviere bello e biondo, intrepido difensore della giustizia, col suo biplano di nome DUX e una fidanzata di nome Romana. Quest’ultimo e i tre precedenti fumetti cessano le pubblicazioni nei primi anni ’40. Sopravvivono invece a lungo dopo il ventennio “Il Monello” (dal 1933), “L’Intrepido“ (dal 1935), editi entrambi dai fratelli Del Duca, che pubblicano solo materiale italiano; e “Il Vittorioso”, settimanale di orientamento cattolico pubblicato ininterrottamente dal 1937 al 1966, anch’esso con fumetti rigorosamente nazionali. Venduto nelle parrocchie, non nelle edicole, viene promosso dall’Azione Cattolica con l’intenzione di contrastare i fumetti di più largo consumo, soprattutto “L’Avventuroso”, che con i suoi eroi americani vende ogni settimana fino a 300.000 copie.
Gli anni ’30 sono dunque anche il decennio di ampia diffusione dei settimanali a fumetti, che nel 1939 arrivano a vendere poco meno di due milioni di copie (molti di più sono ovviamente i lettori, dato che i giornalini a fumetti circolano di mano in mano). Testimonianza preziosa del loro ruolo educativo, per i giovanissimi, rimane la importante rievocazione del “Corriere dei Piccoli” da parte di Italo Calvino in una delle sue lezioni:
“Vivevo con questo giornalino che mia madre aveva cominciato a comprare e a collezionare già prima della mia nascita e di cui faceva rilegare le annate. Passavo le ore percorrendo i cartoons d’ogni serie da un numero all’altro, mi raccontavo mentalmente le storie interpretando le scene in diversi modi, producevo delle varianti, fondevo i singoli episodi in una storia più ampia, scoprivo e isolavo e collegavo delle varianti in ogni serie… Quando imparai a leggere, il vantaggio che ricavai fu minimo: quei versi sempliciotti a rime baciate non fornivano informazioni illuminanti; spesso erano interpretazioni della storia fatte a lume di naso, tali e quali come le mie; era chiaro che il versificatore non aveva la minima idea di quel che poteva essere scritto nei balloons dell’originale, perché non capiva l’inglese o perché lavorava su cartoons già ridisegnati e resi muti: comunque io preferivo ignorare le righe scritte e continuare nella mia occupazione favorita di fantasticare dentro le figure e nella loro successione” [Calvino, 1993, pp.104-105].
Estraneo al mondo della scuola , il fumetto rappresenta ormai per bambini e adolescenti il “piacere” della lettura associata all’immagine.
Un grande autore di letteratura per l’infanzia come G. Rodari ha scritto a questo proposito che “il fumetto è la prima lettura veramente spontanea e naturale del bambino (…) Direi che fino ad un certo punto, l’interesse principale del bambino al fumetto non è condizionato dai suoi contenuti, ma è in presa diretta con la forma e la sostanza dell’espressione del fumetto stesso”.
La storiografia ha ampiamente sottolineato le molte sfaccettature del fascismo – “rivoluzionario” ma anticomunista, modernizzatore ( soprattutto nell’uso del linguaggio) ma tradizionalista nei valori – e di questo troviamo una chiara conferma a proposito dei fumetti. Va detto in primo luogo che, sul piano dell’uso propagandistico, non si deve pensare a una netta distinzione tra i fumetti più dichiaratamente “militanti” (come “Il Balilla” o “Lucio l’Avanguardista”) e quelli prodotti da editori formalmente “indipendenti”: si noti come il “Corriere dei Piccoli” si presta volentieri a propagandare la guerra d’Etiopia. Ma è soprattutto sul piano stilistico-formale e nella scelta dei personaggi che vengono operate scelte in apparenza sorprendenti: proprio “L’Avventuroso”, edito da un “fedelissimo” del regime, Mario Nerbini ,in stretti rapporti con lo stesso Mussolini, diffonde in Italia tutti gli eroi dei fumetti americani, sia pur con qualche prudenza , e, soprattutto, apre graficamente ai balloons, lasciandosi alle spalle le antiquate didascalie a filastrocche fino ad allora in uso. Al contrario, i meno allineati “Il Monello”, “L’Intrepido” e soprattutto il cattolico “L’Avventuroso”, come già detto, si attengono sempre alla “italianità” dei personaggi dei fumetti.
Nella seconda metà degli anni ’30, però, il regime fascista, con una Ordinanza del MinCulPop (Ministero della Cultura Popolare), proibisce la pubblicazione dei fumetti comics americani, “eccetto Topolino”: eccezione, pare, voluta e dettata personalmente da Mussolini.
Il provvedimento ha ovviamente effetti molto diversi, secondo le differenti scelte editoriali sopra indicate.
Il cattolico “Il Vittorioso”, che già ospitava soltanto personaggi italiani, prosegue nella sua linea, ma lancia la nuova serie dell’aviatore “Romano il Legionario”, che dura fino al 1940.
A cambiamenti radicali è costretto invece “L’Avventuroso”: il popolarissimo Flash Gordon viene sostituito da “I Tre di Macallè”, e Dick Fulmine assumerà i tratti del pugile Primo Carnera, emblema di forza e di italianità.
L’azione e l’influenza del regime verso il fumetto si concretizza attraverso l’eliminazione sistematica dei prodotti americani e la loro sostituzione con eroi e storie il più possibile conformi alla propria ideologia.
Il clima degli anni della guerra condiziona anche i fumetti: a fianco di giovani Balilla e di eroi della guerra abissina, nascono strisce che ritraggono stravaganti controfigure a fumetti dei leaders nemici: Trottapiano Rusveltaccio, (il presidente americano Franklin Delano Roosevelt), e Stalino, (Stalin, spietato e sanguinario capo dell’Unione Sovietica) mentre su “l’Avventuroso” compaiono le “Storie di Jitso” che esaltano l’invasione giapponese della Cina. Anche Topolino, l’unico personaggio americano risparmiato dalla censura del 1938, deve soggiacere a un ulteriore giro di vite a partire dal gennaio 1942, quando viene sostituito da Tuffolino, un ragazzino simile per caratteristiche fisiche, affiancato da figure comprimarie agevolmente identificabili in Pippo, Minni, Clarabella e Gambadilegno , con i disegni di Pier Lorenzo De Vita che diventerà uno dei più importanti autori Disney del dopoguerra. Nel dicembre 1943 la mancanza del materiale proveniente dall’estero e, ormai, anche di quello di produzione italiana, induce la Mondadori prima ad accorpare le proprie testate (“Topolino”/ “Tuffolino”, “L’Avventuroso” e “Giungla” uscirono in veste unica), poi l’anno successivo a interrompere le pubblicazioni.
Inoltre vale la pena di osservare che, per tutto il periodo anteguerra, i fumetti vengono sempre identificati e individuati con altri nomi: “cine-racconti”, “cine-romanzi per ragazzi”, “avventure illustrate”: la parola “fumetto” sarà un neologismo successivo a partire dagli anni ’50 .
Nella nostra cultura (e nella critica letteraria) resisterà a lungo, ben radicato, il pregiudizio verso il fumetto, considerato ( a torto) un genere letterario inferiore, guardato con sospetto e diffidenza perché accusato di sviare i ragazzi inducendoli all’abbandono dello studio e della lettura dei libri………