L'inquinamento luminoso e l'ambiente della notte (prima parte)
di Enrique de Ferra
La pandemia della COVID-19 ha richiamato prepotentemente l’attenzione degli scienziati e dell’opinione pubblica sul deterioramento del rapporto fra la Natura e le attività umane.
Non vi è dubbio che alcune delle malattie più preoccupanti degli ultimi anni sono state trasmesse dagli animali selvatici a quelli domestici e poi all’uomo, e il caso del virus SARS-COV-2 non sembra differente.
Da un lato, la progressiva riduzione degli spazi a disposizione degli animali selvatici li obbliga ad invadere zone che in precedenza non frequentavano, mentre dall’altro il richiamo che rappresenta l’ambiente umanizzato per certe specie, attratte dai rifiuti, dalla possibilitá di trovare rifugio e cibo ecc., sta alterando in modo sempre più preoccupante l’equilibrio fra la nostra civiltà e gli altri abitanti del pianeta.
In alcuni casi, gli effetti sono molto evidenti, come per esempio l’invasione di alcune città indiane da parte delle tigri, o più semplicemente la conquista delle zone abitate da parte dei gabbiani e dei corvi.
In alcuni casi, l’interazione tra animali selvatici e quelli a diretto contatto con l’uomo, spesso con la complicità di zanzare ed altri insetti, può scatenare epidemie come quella che stiamo vivendo.
Vi sono però alcune forme di alterazione dell’ambiente che sono facili da individuare (distruzione di boschi, incendi dolosi, discariche, smog, macchie di petrolio ecc.), mentre ad altre cui siamo cosí abituati che a volte neppure ne facciamo caso, o, peggio ancora, le consideriamo come segni di ‘progresso’.
È questo il caso dell’ inquinamento luminoso, ovvero dell’introduzione innecessaria di luce nell’ambiente della notte, che provoca diverse alterazioni dannose all’equilibrio dell’ecosistema e alla stessa vita umana.
Già negli anni 70 e 80 del secolo passato, gli astronomi ed alcuni difensori dell’ecosistema (come è il caso di César Manrique a Lanzarote) preannunciarono e denunciarono i danni che l’incipiente eccesso di illuminazione delle città avrebbe portato alla Natura e alla Scienza, con speciale riferimento all’Astronomia e agli osservatori che si stavano cominciando a costruire nelle isole canarie di Tenerife e La Palma. Grazie alla loro opera di sensibilizzazione, nel 1988 il Parlamento spagnolo approvó la cosiddetta Ley del Cielo de Canarias, legge nazionale ma di applicazione solo nelle due isole citate, con lo scopo di proteggere gli osservatori da ogni tipo di alterazione, tanto luminoso, come di gas, scarichi industriali ecc.
Per merito dell’applicazione di questa normativa, l’osservatorio del Roque de los Muchachos nell’isola di La Palma gode ancor oggi di una qualitá e oscurità del cielo tra le migliori del pianeta.
Purtroppo però nella maggior parte delle altre regioni della Spagna e del resto d’Europa e dei paesi civilizzati l’inquinamento luminoso non ha fatto altro che crescere ed ancora di piú negli ultimi anni, con l’introduzione dei LED e con la scusa del loro basso consumo.
Ma per quali ragioni gli scienziati considerano che l’introduzione di luce non naturale è nociva per l’ambiente notturno?
I motivi sono di diversa indole e vanno dalla modifica delle attività delle specie animali, all’alterazione delle rotte migratorie, ai pericoli per la circolazione stradale, ai rischi per la salute e perfino all’aumento del buco dell’ozono.
Gli studi in questi campi si sono moltiplicati negli ultimi anni e tutti dimostrano che l’inquinamento luminoso è molto dannoso per la Biofera. Non si tratta quindi solo di una preoccupazione degli astronomi, ma invece di un motivo serio di allarme per biologi, ecologisti, studiosi di scienza della salute, ingegneri urbanistici ecc. ecc.
Come è facile intuire, la tematica è molto complessa e variegata e va ben oltre di quello che è possibile trattare in un articolo come il presente; tuttavia sembra opportuno citare alcuni studi recenti dai risultati abbastanza sorprendenti.
È noto che molti uccelli usano come riferimento per le loro rotte migratorie le stelle del Firmamento notturno e tipicamente quelle della zona del Polo Nord celeste. L’impossibilità di localizzarle a causa dell’inquinamento luminoso e di seguire cosí le rotte abituali, come quelle ad esempio che li portano allo Stretto di Gibilterra, causa la morte nel mare di milioni di esemplari ogni anno. In altre specie, come la pardela cenicienta tipica delle isole della Macaronesia, i piccoli imparano a volare di notte e ad orientarsi nell’oscurità per ritornare al nido. La presenza di luci intruse nelle zone costiere, che impediscono loro di ritrovare la strada, ha causato la scomparsa di questa specie da molte zone degli arcipelaghi.
In epoche di coronavirus, è particolarmente interessante notare como un recente studio mette in relazione direttamente l’inquinamento luminoso con la propagazione di un virus esotico, quello detto del Nilo Occidentale. I biologi hanno potuto dimostrare come i passeri, che assieme ad altri uccelli adattati all’ambiente umano sono i principali portatori dell’infermità con la collaborazione delle zanzare, rimangono portatori della carica virale per molto più tempo quando sono sottoposti alla luce artificiale notturna, favorendo in questo modo il contagio della specie umana.
Questa minor resistenza al virus non risulta particolarmente sorprendente, in quanto anche negli esseri umani non è raro rilevare conseguenze negative per la salute causate da disturbi del sonno dovuti alla presenza di luci notturne. In special modo, in case di riposo ed ospedali è stato dimostrato che l’esposizione alla luce artificiale durante la notte causa stress, maggior propensione alle malattie, a cominciare dal cancro ecc.
Infatti il nostro ciclo circadiano, che regola la produzione di ormoni che avvisano il nostro cervello di quando bisogna stimolare l’attività fisica e l’attenzione e di quando invece bisogna rilassarsi e riposare, si regola secondo la presenza di determinate lunghezze d’ onda luminose nella banda dell’azzurro e del verde, che vengono captate dalla nostra pelle e notificano al corpo che ci troviamo nelle ore diurne. Evidentemente la presenza delle stesse frequenze della luce solare nelle lampade produce lo stesso effetto anche di notte, impedendo di dormire correttamente causa l’inibizione della produzione della melatonina, ormone che ha anche proprietà anti cancro.
Spesso si giustifica l’illuminazione notturna con motivi di ‘sicurezza’. Diversi studi hanno invece dimostrato come la quantità di luce presente nelle vie è irrilevante rispetto alla commissione di reati (furti, aggressioni ecc.), semmai invece aumentando il potenziale pericolo in quanto generano una sensazione di falsa sicurezza e nascondono i malintenzionati accecando le vittime con le luci mal orientate.
A questo proposito, è interessante citare uno studio effettuato fra il 2011 e il 2014 dalla Direzione Generale del Traffico spagnola riguardo ai problemi di traffico sull’autovia M30 a Madrid, dove si è rilevato che gli incidenti mortali nel periodo indicato, in cui si spense l’illuminazione stradale per la crisi, erano diminuiti del 30%. Un altro dato quindi che dimostra come il mantra “illuminazione = sicurezza” sia del tutto ingiustificato. Altrimenti New York sarebbe la città più sicura del mondo….
Però non vi è però dubbio che l’illuminazione notturna in molti casi è necessaria. È tuttavia possibile introdurre la luce in maniera intelligente, evitando danni innecessari e risparmiando energia?
Le tecnologie attuali, cosí come quelle passate -sempre che siano applicate correttamente – consentono di rispondere affermativamente a questa domanda.
E’ opportuno quindi soffermarci sulle ragioni per le quali l’illuminazione delle città, delle strade, degli edifici interferisce con l’ambiente notturno vegetale, animale ed umano.
Tre sono gli aspetti principali del fenomeno dell’inquinamento luminoso: la direzione di emissione della luce, la sua intensitá e il suo spettro. Vediamoli un po’ più in dettaglio.
Sembra piuttosto evidente che bisognerebbe limitarsi a mandare luce solo nelle aree che interessa illuminare, sia per evitare inutili sperperi di energia, sia per non interferire con altre attività che non la richiedono. In generale, non dovrebbe essere molto difficile ottenere questo obiettivo: ad esempio nel caso dei fari anabbaglianti delle automobili si raggiunge inserendo nella lampada una piastrina di metallo che riflette il fascio di luce superiore ridirigendolo verso il basso ed evitando in questo modo di accecare chi incrocia.
Nel caso di molti tipi di lampioni per l’illuminazione stradale, invece, non si è tenuto conto nel loro disegno di questo aspetto fondamentale, privilegiando invece l’impatto estetico decorativo. Il risultato di questa scelta è che la maggior parte della luce emessa da questi apparati viene inviata in orizzontale, quindi direttamente verso gli occhi di chi passa per la strada, impedendogli cosí di vedere gli ostacoli, mentre un’altra frazione importante viene mandata verso il cielo, causando uno spreco di energia senza alcuna logica.
La parte utile della luce in molti casi non supera il 40%, cosa che evidentemente è del tutto insensata anche dal punto di vista del consumo, senza considerare altre conseguenze ambientali come l’inquinamento atmosferico per la produzione dell’energia elettrica, il riscaldamento globale, il buco dell’ozono ecc.
L’emissione di luce verso l’orizzonte è particolarmente dannosa in quanto raggiunge distanze molto elevate: basti pensare che dalla costa occidentale di Fuerteventura si nota l’alone dell’illuminazione stradale della città di Las Palmas de Gran Canaria, situata a 150 km di distanza e che neppure risulta visibile direttamente causa la curvatura terrestre.
Le foto scattate dalla Stazione Spaziale Internazionale mostrano anch’esse come le nostre città stanno emettendo luce verso il cielo in modo evidente e senza nessuna ragione logica. Peró non si tratta solo di un problema si spreco senza conseguenze pratiche, oltre al dispendio di energia e risorse. Bisogna anche tener conto che quando il cielo è coperto, la luce emessa verso l’alto viene riflessa dalle nuvole verso la superficie terrestre anche a grandi distanze, alterando con questo alone luminoso l’equilibrio naturale nei campi, nei boschi, nei parchi nazionali ecc.
Un secondo aspetto importante da tenere in conto è l’intensità della luce emessa, che si trova in rapporto diretto non solo con il danno ambientale ma anche con il consumo energetico.
Le normative in vigore prevedono un’intensità massima in dipendenza dalla zona da illuminare, che però molto spesso viene sorpassata nelle installazioni. L’occhio umano reagisce alla luce chiudendo l’iride per evitare l’eccesso di stimolazione nervosa, per cui una maggiore intensità luminosa non si traduce in una migliore visione, ma al contrario aumenta i rischi, in quanto gli oggetti oscuri -pedoni, animali, ecc.- vengono percepiti con minore evidenza.
L’ultimo aspetto dell’inquinamento luminoso, e forse il più importante, è quello dello spettro delle lampade, ovvero il loro colore. La luce cosiddetta ‘fredda’ (che, contrariamente all nostra sensazione ottica, come la fisica ci insegna, corrisponde alle temperature più alte), che presenta componenti ultraviolette, azzurre e verdi, è la più dannosa per molteplici ragioni.
Essa infatti è responsabile, tra l’altro, dell’alterazione del ciclo circadiano, della diffusione della luce a distanze maggiori (effetto Raileigh) e del disequilibrio delle attività degli insetti, che, attratti principalmente da queste frequenze, trovano spesso la morte causa i predatori e la temperatura delle lampade. Alcuni studi hanno anche rivelato che i tempi di reazione dei conducenti di automobili aumentano con un’ illuminazione di questi colori rispetto alle lampade gialle o arancione.
Ritornando ora alla domanda che ci siamo posti in precedenza, è quindi possibile evitare di illuminare male ed invece proteggere la nostra salute, la sicurezza del traffico, l’ambiente e risparmiare sulla bolletta della luce?
La risposta a questi quesiti non è immediata e sarà quindi l’argomento della seconda parte di questo articolo.