Il vino nella cultura classica. Viaggio nel mito: da Noè a Dioniso
di Rigel Langella
Il vino come opera d’arte e l’apertura della bottiglia quasi una cerimonia per gustare il prezioso nettare, frutto della vite e del lavoro dell’uomo. La storia che conduce dai pithoi all’orcio, dalla kylix al calice, dall’ oinochòe al decanter è lunga, ma unico è il protagonista: il vino, nettare degli dei. Iniziamo a percorrere insieme le strade di Palestina e Grecia, prima di approdare a Roma in un ideale viaggio nel tempo, nello spazio e nelle tradizioni arcaiche.
La vite, come del resto l’ulivo e il grano, erano e sono piante sacre nell’areale mediterraneo, segno di un radicamento alla Madre Terra che faceva vivere la vita non da stranieri, ma da esseri consapevoli della stretta interazione tra macrocosmo e microcosmo. Le antiche civiltà mediterranee, attraverso i preziosi reperti a noi pervenuti, ancora oggi trasmettono il senso di luminosa serenità delle società agricole, contrapposte a quelle pastorali, guerriere, maschiliste e aggressive. Così come mi è capitato di sperimentare a Santorini, visitando gli scavi della città minoica di Thera, da dove riaffiora la vita quotidiana, semplice e luminosa, di una società matriarcale.
È evidente il fatto che il vino è sacro lì dove è radicato nella cultura tradizionale di un popolo, soprattutto dove la cultura della vite è resa possibile dalle condizioni climatiche che favoriscono un’agricoltura specializzata.
A quanto sembra sono stati i Sumeri i primi a lasciare testimonianza scritta sull’uso del vino già nella celebre Epopea di Gilgamesh, opera letteraria che risale al III millennio a.C. e parla della ricerca dell’immortalità da parte dell’eroe di Uruk. I caratteri cuneiforni delle tavolette di Ebla, che gli scavi italiani hanno riportato alla luce, testimoniano come il vino venisse usato nei banchetti, offerto agli dèi e ai capi della comunità, in pagamento delle tasse.
La sacralità della bevanda è consacrata in particolare nel testo biblico, la tradizione religiosa comune a ebrei e cristiani, deriva indubbiamente dal rilievo che la vite e il vino avevano nella letteratura dell’Antico Israele, così come per Greci e Romani.
Partiamo, allora dalla Bibbia: per chi ama le statistiche sono ben 127 tra Antico e Nuovo Testamento le ricorrenze, i brani, le pericopi in cui è citato il vino. È proprio la Sacra Scrittura la fonte documentaria primaria dell’Antichità. Il testo in cui il vino è praticamente un co-protagonista è il Cantico dei cantici, composizione dalle espressioni ardite, dal linguaggio vivo che sconcerta chi non sappia penetrare la dimensione del sacro in cui l’amore è celebrato proprio nella vigna, quasi un nuovo Giardino dell’Eden. Ovviamente, oggi, nessuno crede più che sia stato scritto dal Re Salomone nel X secolo a.C., ma le sue espressioni immortali restano alte, anche se provenienti da un ignoto, ma illuminato scriba:
Il tuo ombelico è una coppa
che non manca mai di vino (Ct 7, 3).
Oppure le allusioni ai sentimenti più profondi:
Quanto più deliziose del vino
sono le tue carezze (Ct 4, 10);
Ricorderemo le tue tenerezze
più del vino (Ct 1, 4).
Termini espliciti riferiti all’amore che, in recente passato, determinarono la proibizione di leggerlo per le donne, facendo ritenere il linguaggio solo simbolico e mistico:
Il mio diletto è per me un grappolo di Cipro
nelle vigne di Engaddi (Ct 1,14);
Il tuo palato è come vino squisito
che scorre dritto
verso il mio diletto (Ct 7, 10).
Secondo la moderna esegesi il testo è più recente e risale al VI-IV sec. a.C., composto per celebrare l’amor profano e la gioia della libagione, assurta a paragone di massima delizia. La vigna, che fa da sfondo a questo amore, è descritta nel tempo incantato della fioritura e della primavera, tanto da deliziare ancora, alla lettura, il nostro olfatto con i profumi della macchia mediterranea.
Di vino si parla anche nei Libri storici, profetici e sapienziali. Assieme alle evidenze archeologiche, che hanno restituito attrezzature vitivinicole, provenienti dal Medio Oriente, possiamo dire con certezza che la bevanda era prodotta già in epoca arcaica in diverse forme o – come diremmo oggi – secondo differenti disciplinari. Scopiamoli insieme. Il profeta Gioele ci parla del vino novello: Io vi mando il grano, il vino nuovo (Gl 2,19). La Genesi mette in guardia dagli effetti del vino forte: Avendo bevuto il vino, Noè si ubriacò (Gn 9,21). Il profeta Osea parla del vino mescolato al mosto: Il vino e il mosto tolgono il senno (Os 4,11). Infine, è ancora il Cantico, a farci sapere che i nostri progenitori usavano come afrodisiaco il vino speziato: Ti farei bere vino aromatico… (Ct 8,2).
Sul mercato delle antiche città era, dunque, possibile, acquistare una vasta gamma di vini, che venivano suddivisi principalmente in base a colore e origine: rossi di Cipro e Frigia; rosso leggero di Sharon; vini etiopici. I bianchi più apprezzati provenivano dalle vigne del Libano e in alcune raffigurazioni abbiamo due uomini che portano a spalla su una pertica un solo grappolo, come un trofeo. Da tutti questi riferimenti incrociati e dai ritrovamenti dell’archeologia subacquea non è arbitrario dedurre che il vino fosse un importante prodotto commerciale, scambiato in tutti i porti del Mediterraneo.
Arriviamo allora nell’antica Grecia: se dalla Palestina i testi che ci parlano del vino sono essenzialmente religiosi, nell’Antica Grecia sono soprattutto poetici, in parte eroici e in parte erotici. Tra il X e l’VIII secolo a.C. si possono datare i testi di Omero e di Esiodo. Le pagine immortali, scritte secondo tradizione dal mitico bardo, ci tramandano notizie dirette sul ruolo di primo piano che il vino aveva nella vita sociale. Per la sua conformazione il territorio greco non ha grandi pianure, ma strette e brevi vallate, prive di grandi estensioni di colline e terreni coltivabili. Allora il vino, prodotto pregiato e raro, diventa ornamento delle mense dei re.
Quando nel II libro dell’Iliade l’Autore passando in rassegna il fior fiore delle milizie schierate, mette in primo piano, tra i vanti principali delle città greche, la presenza di vigneti: aprica vitifera Istiea; Epidauro, lieta di pampini.
Ma il vino non rimase in patria e arrivò fin sotto le mura di Troia nei lunghi anni dell’assedio, prima che la città divenisse: “fumante”, Tra i premi ambiti, offerti ai combattenti non mancava il prezioso nettare, che giungeva con “molte navi” da Lemno, inviato da Euneo, che per gli Atridi, Agamennone e Menelao, ne aveva inviato mille misure:
Della sera allestite indi le mense
per le tende, cibar le opime carni
di scannati giovenchi, e ristorarsi
del vino che recato avean di Lemno
molti navigli; e li spediva Euneo
d’Issipile figliolo e di Giasone.
Mille sestieri in amichevol dono
Eumeo manda ad ambedue gli Atridi
(Iliade, VII, 467-471, traduzione di V. Monti).
E ancora l’epopea del vino si snoda pure lungo le nuotate e vogate di Ulisse che cerca tenacemente di tronare a casa, in quel di Itaca. Ne fa uso Circe, per i suoi incantesimi:
Per loro formaggio, farina d’orzo e miele
nel vino di Pramno mischiò:
ma univa nel vaso droghe (Odissea, X, 234-235)
E anche a casa di Calipso, nell’isola di Ogigia, dove l’eroe restò ben sette anni, non mancava il ristoro della bella vigna che non faceva sentire la nostalgia di casa:
si stendeva vigorosa con i suoi tralci
intorno alla grotta profonda,
la vite domestica:
era tutta carica di grappoli (Odissea V, 68-69).
Per fortuna il vino, assieme ad abbondanti messi, non mancava neppure in quel di Itaca (Odissea XIII, 244), altrimenti chissà se il nostro eroe sarebbe ritornato da Penelope…
Le peripezie di Ulisse nel Mediterraneo, anche se oggi la sia epopea viene collocata oltre le colonne d’Ercole o addirittura nel mare del Nord, sono emblematiche dei viaggi di esplorazione e commercio, compiuti dai coloni greci. Assieme a loro sempre viaggiava il nettare degli dèi, dapprima importato dalla madre patria, come fecero durante l’assedio di Troia, successivamente prodotto anche nelle zone colonizzate coltivabili. Per questo, al di là del mito, per molti studiosi è la Grecia la patria della coltivazione della vite e della produzione di vino, esportato a partire dal VII secolo a.C. attraverso tutto il Mediterraneo fino in Gallia e successivamente, attraverso il Mar Nero, fino in Anatolia o verso le coste africane e in tutte le terre conosciute, raggiungibili dall’Ellade. Ancora oggi, dalla Tunisia alle Canarie, in particolare a Lanzarote, è possibile ammirare piccoli appezzamenti di terra, coltivati a vigneto alla maniera arcaica, come ai tempi in cui i vitigni si chiamavano Aegia, Thasia, Psithia, Sika, con i tralci liberi di strisciare al suolo, protetto da rami e stuoie per evitare il contatto dei grappoli con la terra e l’oltraggio dei forti venti.
Esiodo ci offre vivide descrizioni della vendemmia, effettuata all’inizio di ottobre, quando Orione e Sirio si levano a metà della notte e la stella Arturo appare al mattino. L’uva veniva dapprima esposta al sole, per ridurre il tenore di umidità e aumentare il grado zuccherino, ottenendo con la fermentazione un più alto tenore di alcol, e successivamente pigiata:
Tienili al sole per dieci giorni e dieci notti;
per cinque conservali all’ombra, al sesto versa nei vasi
i doni di Dioniso giocondo. Poi, dopo che
le Pleiadi e le Iadi e il forte Orione
son tramontati, d’arare ricordati…
(Esiodo, Le opere e i giorni, Libro della vendemmia).
La devozione a Bacco, il Dioniso giocondo, si è tramandata fino ai giorni nostri, quando a Roma in due occasioni: le ottobrate e il carnevale, esplodeva irrefrenabile la gioia popolare. Molti pittori romani e non, dall’incisore romano Pinelli al pittore danese Marstrand, hanno reso la sfrenata gioia della festa. Nessuno, però, come il poeta G.G. Belli ha saputo rendere, nel suo dialetto corrosivo e arguto, il senso profondo che univa il popolo di Roma e della campagna circostante alla “sua” bevanda, con questi versi del 1832:
Senz’acquasanta sì, ma senza vino…
Ma senza vino io? Dio me ne guardi!
Per saperne di più: bibliografia
Riprendiamo in mano i classici, che non deludono mai, ci accompagnano nel sentiero della vita e non pagano diritto d’autore:
-Cantico dei Cantici, www.maranatha.it/Bibbia/3-LibriSapienziali/26-CanticoPage.htm
–Epopea di Gilgamesh, sintesi e testo:
www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/contenuto.htm
-Esiodo, Le opere e i giorni, Ἔργα καὶ Ἡμέραι, poema didascalico dell’VIII sec. a.C. contiene consigli pratici per l’agricoltura e giorni del mese nel quale compiere determinate attività. L’opera si trova consultando on-line i siti delle principali biblioteche universitarie: Hesiodi theogonia, opera et dies, scutum, fragmenta, ed. F. Solmsen/R. Merkelbach/M. L. West, Oxford 1970. Nella traduzione italiana: www.miti3000.it/mito/biblio/esiodo/opere.htm
-Omero, Iliade, traduzione dal greco di Vincenzo Monti. Anche questo testo è liberamente disponibile in rete: it.wikisource.org/wiki/Iliade
-Omero, Odissea, traduzione dal greco di Ippolito Pindemonte. Anche questo testo è liberamente disponibile in rete: it.wikisource.org/wiki/Odissea