La regina Sibilla, tra leggende e letteratura
di Ernesto De Angelis
Tra Umbria e Marche, in quello che è l’attuale territorio del Parco nazionale dei Monti Sibillini, si tramandano tuttora antiche storie, legate alla tradizione esoterica: dalla Sibilla appenninica che predisse la nascita di Gesù Cristo all’imperatore Augusto, fino alla vedova Angeruta che predisse al cardinale Alessandro Farnese l’ascesa al soglio pontificio. Senza dimenticare che la storia del Tannhauser è ispirata ai racconti medievali sulle gesta del Guerin Meschino.
C’è un angolo di Italia al quale sono particolarmente affezionato perché lì sono le mie origini, proprio al suo centro geografico, che nasconde tra i monti storie, leggende e tradizioni popolari che meritano di essere ricordate. Si tratta della zona tra Umbria e Marche dove svettano fieri i monti della catena dei Sibillini, alle cui pendici si trovano centri storici medievali e rinascimentali di grande bellezza ed interesse. Molti sono noti per le antiche tradizioni di maghi, streghe e magie popolari. I due centri più importanti, Norcia in Umbria e Visso nelle Marche, sempre divise da rivalità storiche, oggi sono accomunate dal triste destino dell’ultimo terremoto, che tanti danni ha provocato a monumenti, abitazioni e chiese, spesso di enorme valore artistico, tanto da costituire un unicum anche in questa Italia così piena di attrattive culturali.
In questa zona sono circolate, e circolano ancora tante leggende, legate alla superstizione e ad antiche credenze, mai del tutto dimenticate. Si pensi che a Visso, famosa per i suoi palazzi signorili, nel 1529 viveva una veggente, tale Angeruta, una povera vedova, che predisse al cardinale Alessandro Farnese, in visita alla città, la sua elezione al soglio pontificio con le seguenti parole, riportate nelle cronache locali redatte da Cipriano Piccolpasso da Castel Durante e riportate nell’interessante pubblicazione ”Il paradiso della regina Sibilla” di Domenico Augusto Falzetti: “Lasciate che in ginocchio io ti preannunzi che un giorno tutta la cristianità ti venererà. Fra cinque anni io sarò morta, ma tu fra cinque anni sarai eletto papa, e regnerai potente e felice per oltre dieci anni. Ti raccomando per allora i miei figli”.
Il futuro papa, colpito dalla profezia dell’indovina, rispose: “Se, come tu dici, sarò eletto papa, proteggerò i tuoi figli”.
Alessandro Farnese fu effettivamente eletto papa dopo cinque anni, regnò per circa 15 anni, e mantenne la parola data all’indovina di Visso, proteggendone i figli.
La zona è però conosciuta per un’altra indovina, molto più famosa della ormai dimenticata Angeruta: la Sibilla Appenninica, la quale ha dato il suo nome alla catena montuosa omonima, il cui regno si trovava in una grotta sul monte Sibilla, nel comune di Monte Monaco, in territorio marchigiano, ma che faceva parte un tempo della prefettura di Norcia, cui fu tolta da un papa originario delle Marche, che la trasferì alla marca di Ascoli.
Da bambino, con i miei fratelli e i nostri cugini, andavamo ogni anno d’estate in vacanza a Norcia, nella casa dei nonni che, per nostra fortuna, erano contenti di tenerci con loro, nonostante il nostro elevato numero, otto nipoti, e la nostra vivacità irrefrenabile. Ogni tanto qualcuno di noi inevitabilmente si metteva di cattivo umore o aveva qualche leggera indisposizione. In questo caso spesso ci si chiedeva se per caso qualcuno ci avesse fatto il malocchio e così, oltre alle normali cure mediche si ricorreva alla “strolica”, in genere una donna anziana, esperta conoscitrice di magia popolare, che ci visitava e, dopo aver seguito un rituale apposito, stabiliva se fossimo stati colpiti dal malocchio. Ricordo che veniva presa una scodella e, dopo avervi versata dell’acqua e la recita di preghiere da parte della strolica, preghiere che purtroppo ignoro, veniva utilizzato un cucchiaio di olio, nel quale la vecchia bagnava il dito e ne faceva cadere tre gocce nell’acqua, che doveva essere assolutamente quieta. Se le tre gocce rimanevano separate andava tutto bene se, invece, le gocce si univano a formare un’unica grande macchia il bimbo era stato colpito dal malocchio, magari involontariamente, da qualcuno che gli aveva fatto un complimento, tipo: “ma che bel bambino!”. Allora bisognava assolutamente agire per toglierlo e annullare la negatività cui era stato sottoposto anche senza la volontà di nuocergli. In questo caso la strolica recitava delle ulteriori preghiere che servivano ad annullare il maleficio, dopo di che ne verificava l’effetto ripetendo il rituale precedente, con le tre gocce d’olio che stavolta dovevano rimanere separate, a certificare il buon esito della magia bianca attuata.
Nel nostro caso la strolica era la sorella di nonno e più volte, incuriosito le chiesi di svelarmi i suoi segreti: purtroppo le formule magiche da recitare possono essere svelate soltanto in punto di morte o nella notte di Natale. Non ho però mai avuto l’occasione di andare al paese a Natale, troppo freddo nella nostra casa, allora priva di riscaldamento e non ero a Norcia in occasione della morte della cara zia.
La curiosità però è continuata, molte anziane erano capaci di queste piccole magie benefiche e mi chiedevo come mai, finché non ho scoperto, una volta cresciuto, che Norcia ed il suo territorio pullulano di leggende e storie di maghi e streghe. Immaginate la vita in un’epoca in cui non c’era luce elettrica e tutte le attività erano scandite dalla luce solare. Durante le lunghe notti invernali, con il vento che rumoreggiava tra i vicoli bui, ogni rumore era ritenuto provocato da presenze misteriose e spesso malevole da cui era necessario proteggersi in qualche modo. I lupi, che all’epoca erano numerosi, si avvicinavano anche ai piccoli centri abitati ululando in cerca di cibo, sicché veniva naturale pensare a forze occulte che si impadronivano dei luoghi e che dovevano essere tenute a bada in tutti i modi, anche con apposite formule magiche. Da qui l’importanza e la considerazione, ma anche il timore che ispiravano le persone che le conoscevano e sapevano usarle al momento del bisogno, a fin di bene, naturalmente.
Un tipico esempio di tutto questo è il piccolo centro abitato di Castelluccio di Norcia, a 1350 metri di altezza, posto su un colle ai piedi del monte Vettore, la vetta più elevata dei monti Sibillini:
“Sotto a Vettore v’ha un piccolo castello
de zengari formato senza fallo
che di neve continua gli ha un mantello
e manco a agosto ce se sente callo.
Da man destra e a sinistra è un piano bello
che quanto val nessuno può stimallo
solo gli manca il diletto d’Apollo
perché ci passa il sole a rompicollo”.
Il paesino domina la famosa piana, celebre per la spettacolare fioritura primaverile e la coltivazione delle migliori lenticchie del mondo, ma è conosciutissima anche per la leggenda della Regina Sibilla, che dà il nome alla catena montuosa, e del lago di Pilato, che si trova ora in territorio marchigiano, nel comune di Monte Monaco.
Il lago sarebbe la tomba del console romano che condannò alla crocifissione Gesù Cristo. Dopo la morte il corpo di Ponzio Pilato, per sua espressa volontà, venne posto su un carro trainato da quattro bufali lasciati liberi di andare dove volessero. I bufali, privi di conducente, si incamminarono e percorsero tutta la strada fino alle montagne della Sibilla e, giunti nelle vicinanze del lago, vi si inabissarono con il loro funesto carico. Il luogo già allora era frequentato da negromanti e stregoni, che iniziarono ancor più numerosi a recarvisi per celebrare riti magici e consacrare libri di magia nera, con l’aiuto dei demoni che, secondo la credenza popolare custodiscono il luogo. La leggenda vuole che il lago, il quale presenta anche una forma particolare ad occhiali, essendo costituito da due specchi d’acqua separati che sembrano due occhi, avesse in mezzo una grossa pietra sulla quale era incisa la frase: “Girami e ti farò felice”. Dopo che con grandi sforzi la pietra veniva girata appariva la seconda frase: “ed ora che m’hai girato, cosa n’hai guadagnato?”. Frequentare quei posti senza uno speciale salvacondotto rilasciato dai Priori di Norcia era molto pericoloso: ancora alla fine dell’Ottocento il botanico Ottaviani, in cerca di erbe rare sul piano del Castelluccio, scambiato per un negromante, rischiò il linciaggio da parte degli abitanti del piccolissimo e freddissimo borgo montano.
I luoghi e la leggenda del regno sotterraneo della Regina Sibilla hanno ispirato anche numerosi romanzi di autori medievali, che hanno ripreso e ampliato le storie raccontate nelle lunghe veglie invernali da pastori e contadini della zona. Il toscano Andrea da Barberino scrisse, intorno al 1410, la storia del Guerin Meschino: un bimbo, figlio di re, viene rapito ai genitori in tenerissima età. Catturato da pirati saraceni viene venduto all’imperatore ottomano e, grazie alla sua grazia e bellezza, la figlia dell’imperatore se ne innamora. Il Meschino, così appellato perché non conosce le sue origini, proprio per questo non può sposarla: la figlia dell’imperatore non può certo maritarsi con un uomo di modestissimo e incertissimo rango. Il Meschino a questo punto chiede licenza di partire alla ricerca delle proprie origini e, nel corso delle sue peregrinazioni, apprende da una maga algerina che soltanto la Sibilla che si trova sui monti vicino Norcia può rivelargli chi sia. Una piccola e doverosa parentesi: la nostra Sibilla Appenninica avrebbe predetto, secondo il mito, addirittura la nascita di Gesù Cristo all’imperatore Augusto.
Guerin Meschino si reca dunque a Norcia e riesce, infine, a trovare la grotta ove dimora la Regina Sibilla. Dopo varie peripezie e prove all’interno dell’antro, viene ammesso alla sua presenza e si trova in una specie di Paradiso terrestre. La Sibilla è una fanciulla bellissima, circondata da damigelle e paggi di grande bellezza anch’essi. Ogni cavaliere che riesce ad arrivare nel regno della Sibilla può fermarsi, se vuole poi tornare al mondo esterno, per non più di un anno. Se il soggiorno oltrepasserà questo termine temporale dovrà rimanervi fino al giorno del giudizio seguitando a godere delle sue delizie. Il Guerino detto il Meschino può goderne finché vuole, come viene invitato a fare dalla Sibilla, ma la sua ferma fede cristiana gli permette di resistere ad ogni tentazione: questo apparente paradiso terrestre nasconde una terribile verità, di cui il cavaliere non tarda a rendersi conto: la Sibilla, e tutta la sua corte di belle fanciulle e paggi, ogni venerdì si trasformano in serpenti velenosi e tutti si nascondono in apposite stanze fino al lunedì successivo, quando riappaiono ancora più giovani e belli di prima. Guerino comprende che si tratta di un luogo demoniaco e, trascorso l’anno, trova la forza di uscirne. Il giovane comprende che il suo peccato, rimanere nella grotta per un anno, è stato troppo grave per essere perdonato da un qualunque sacerdote sicché decide di recarsi a Roma per chiedere il perdono del Santo Padre. Il Papa perdona Guerin Meschino ma gli impone come penitenza di recarsi a Santiago di Compostela, già allora meta di credenti e penitenti, per proteggere i pellegrini. Alla fine della storia Guerino detto il Meschino sposa una principessa persiana e tutto finisce bene.
Diversa è la storia scritta una ventina di anni dopo il Guerin Meschino dal francese Antoine de La Sale. Il protagonista stavolta è un cavaliere tedesco che, sentito parlare dei piaceri che si godono nella grotta riesce a trovarne l’ingresso e introdurvisi insieme al suo scudiero. I due godono poi ampiamente dei piaceri carnali con le damigelle e con la stessa Sibilla. Stavolta però il termine di permanenza che permette il ritorno al mondo esterno è di soli 330 giorni ed il nobile cavaliere riesce ad uscire, insieme al suo fedele scudiero, prima del fatidico giorno. Anch’egli si reca a Roma per chiedere perdono al Papa, ma il pontefice stavolta non lo concede immediatamente, perché vuole mettere alla prova la sincerità del pentimento del nobile tedesco. Il cavaliere, scoraggiato e convinto di essersi ormai dannata l’anima, torna nella grotta e rimane, insieme allo scudiero, per sempre nel suo paradiso demoniaco, ove starebbe ancora godendo dei suoi piaceri che dureranno fino alla fine dei tempi. Come si vede stavolta la storia non finisce bene, probabilmente a fini di edificazione del popolo dei credenti.
La storia presenta molte analogie con il Tannhauser, ambientato però in Germania, sul fiume Reno.
Lo studioso Domenico Augusto Falzetti, originario di Norcia, fratello di mia nonna ed appassionato della storia e delle leggende nursine, organizzò nel 1930, insieme al francese Fernand Desonay, una spedizione per ritrovare l’ingresso della grotta, andato perduto a causa dei numerosi terremoti da cui è purtroppo colpita la zona. Successivamente, in una seconda spedizione, effettuata nel 1953 con il concorso dell’allora presidente provinciale per il turismo della provincia di Ascoli Piceno, il Falzetti riuscì a trovarne l’ingresso e ad entrare al suo interno. Procedendo per i pochi metri che i crolli, causati dai sismi, ma anche dalla mano dell’uomo per impedire la ricerca e l’accesso in questo luogo magico, tristemente famoso, permettevano di percorrere, trovarono alcuni gradini intagliati nella roccia che scendevano verso l’interno e lasciavano presagire l’esistenza di ulteriori ambienti. Nell’atrio della grotta il gruppo ebbe la possibilità di trovare e identificare un’incisione che recava il monogramma di un cavaliere tedesco e la data: 1378, anno in cui costui era entrato nella grotta. Riuscirono così a dimostrare l’esistenza della grotta e la sua frequentazione anche in epoche antiche. Gli studiosi purtroppo non riuscirono a addentrarsi più profondamente all’interno dell’antro a causa dei numerosi crolli e dei detriti che dovevano essere sgomberati per procedere oltre, quindi non trovarono il regno ormai perduto della Regina Sibilla.
Oggi, con una sensibilità ed una cultura diverse, più razionali e meno portate al mistero e all’ineffabile, i monti Sibillini sono stati protetti dall’istituzione di un parco naturale nazionale che comprende tanto il versante umbro che quello marchigiano delle montagne. Finalmente la grotta della Regina Sibilla ottiene una tutela che, speriamo, la metterà al riparo almeno dalle devastazioni dovute all’ignoranza ed alla superstizione popolari, se non, purtroppo da quelle dovute ai terremoti che periodicamente devastano la zona.