"Andare oltre" l'opera di Dante: quella superba voglia dannunziana
di Alfonso Licata
Gabriele D’Annunzio, il Vate , fu lettore appassionato e attento della Commedia ma soprattutto chiosatore dell’opera poetica monumentale di Dante. La prova incontestabile di tale attivita` dannunziana si evidenzia dall’esame di una copia della stessa opera dantesca e in particolare dell’edizione G.A.Scartazzini che, piena di sottolineature e annotazioni di pugno del D’Annunzio, si custodice nella biblioteca del Vittoriale.
Inoltre , ad ulteriore conferma del grande interesse del D’Annunzio per il Sommo Poeta si possono notare le varie citazioni a margine dei tre volumi delle sue Prose di ricerca e quelle , altrettanto impegnative, che si ritrovano nei Taccuini oltre che in diversi suoi romanzi.
il D’Annunzio vuole misurarsi con i personaggi della Divina Commedia, nell’intento di stabilire un contatto che porti al confronto tra i due poeti.
Un esempio, fra tanti, si può cogliere nella Francesca da Rimini, tragedia ispirata a un episodio del quinto canto dell’Inferno di Dante Alighieri. Il personaggio dantesco di Francesca da un lato, e l’omonima tragedia dannunziana dall’altro, suscitarono un intenso dibattito filologico-letterario sui problemi posti dal canto infernale: la scelta di un soggetto dantesco si inquadra, per D’Annunzio, in un globale ritorno alla letteratura delle Origini, colta, folcloristica e popolare, per nulla superficiale ma amalgamata a fini drammaturgici ed espressivi. La forma di una “tragedia in versi” affermava o, per meglio dire, rivelava un rapporto di emulazione e quasi competizione con la massima autorità letteraria . Tema anche questo tipico dell’Ottocento, in cui, pur nella diversità, non si rinuncia ad un paragone tra i due personaggi. E così possiamo vedere come il sentimento di orgoglio del D’Annunzio e la sua tendenza ad assimilarsi a Dante – o quanto meno di confondersi e legarsi con lui in quell’aureola di grandezza, come se volesse immortalarsi insieme a Dante per il giudizio dei posteri, Io si deduce dalle sue stesse affermazioni: ” Io sono il supremo degli Umanisti”; e, più esplicitamente: ” Io posso consentire di riconoscermi l’eguale di Dante e di Gianni delle Bande Nere; ma dico che dell’Uno o dell’altro mi affranco per andar oltre: il tutto sovrastato da un Ego smisurato, che è il sigillo inconfondibile della sua granitica personalità, quasi il supporto della sua agognata grandezza.
La stessa varietà delle ricerche , delle note e delle citazioni, la maggior parte delle quali riconducibili allo stesso uomo Dante, rappresentano il canale naturale per introdurci nella tradizione romantica ottocentesca, che rinviene e capta nell’Alighieri le travagliate condizioni della povertà, della fierezza, dell’esilio. Un insieme di assoluto e di immortale che nella coerenza, nella forza del carattere, nei lineamenti asciutti, quasi smunti del volto ci mostrano un ritratto vivo più che mai di Dante, ” a quel modo che il sudario le fascia ai sepolti, perché tutta la figura abbia un che del resuscitato Lazzaro, un che dell’uomo sollevato dal miracolo sopra l’ombra della morte ” (Dante, gli stampatori e il bestiaio, in Prose di ricerca, II, Milano 1962, pag. 612). Ed è, anzi, questa immagine di uomo a sovrastare persino il poeta, a farne motivo di comparazione, tanto che la presenza di Dante è in lui, più che semplice attenzione, concentrazione analitica e stimolo.
La più evidente e certa testimonianza di questi suoi umori e del suo modo di avvicinare Dante , ci viene confermata dalla prefazione dettata dal D’Annunzio per la Divina Commedia commentata da G.L. Passerini, edita da Olschki nel 1911 (cfr. Prose di ricerca, cit., pp. 600 ss.) e soprattutto dalle chiose e sottolineature apposte al testo dell’opera.
Questa prefazione rappresenta per noi un elemento assai utile e prezioso, perché non solo ci rivela il rapporto tra Dante e D’Annunzio, ma ci spinge a comprendere il mito di Dante, consentendoci di enucleare un D’Annunzio che ricerca sé stesso e si confessa. Egli esprime il suo punto di vista, che tuttavia sempre e comunque, fornisce una descrizione autobiografica di rilievo ed evidenzia i suoi sentimenti, le sue predilezioni, in sostanza i suoi interessi di uomo e di poeta. Così che, per sollecitazioni sentimentali, D’Annunzio intravede nell’Alighieri le virtù della stirpe e tutte le raccoglie e le custodisce in sé in un’interpretazione avida, funzionale a bisogni e sensazioni personali. Altri importanti riferimenti al genio, agli ideali ed alla concezione di vita del Sommo Poeta si ritrovano altresì in altre grandi opere del Vate, come “Il Fuoco”, “Le Laudi” e la raccolta di liriche “Alcyone”con rimandi impliciti , espliciti o presunti alla Commedia dantesca. In ogni caso l’ammirazione di D’Annunzio per la grandezza e il genio di Dante risulta del tutto pacifica, anche solo ricordando una frase da lui pronunciata nel 1900 a Firenze durante un suo discorso ad elogio del Sommo poeta, secondo cui “è più facile abbattere la più ardua rupe che mutare un verso dell’Inferno”.
Alfonso Licata
“IR MÁS ALLÁ” DEL TRABAJO DE DANTE: ESE MAGNIFICO DESEO DANNUNZIANO
Gabriele D’Annunzio, el Vate, era un lector apasionado y atento de la Comedia, pero sobre todo un comentarista de la monumental obra poética de Dante. La prueba indiscutible de esta actividad de D’Annunzio se evidencia mediante el examen de una copia de la misma obra de Dante y, en particular, de la edición G.C.A. Scartazzini que, llena de subrayado y notas escritas a mano por D’Annunzio, se conserva en la biblioteca de el Vittoriale.
Además, como una confirmación más del gran interés de D’Annunzio en el Poeta Supremo, uno puede observar las diversas citas en los márgenes de los tres volúmenes de su Proseja de investigación y aquellos, igualmente exigentes, que se encuentran en los Cuadernos, así como en varias de sus novelas.
D’Annunzio quiere medirse con los personajes de la Divina Comedia, para establecer un contacto que conduzca a una comparación entre los dos poetas.
Un ejemplo, entre muchos, se puede encontrar en Francesca da Rimini, una tragedia inspirada en un episodio del quinto canto del Infierno de Dante Alighieri. El personaje Dante de Francesca, por un lado, y la tragedia de D’Annunzio del mismo nombre, despertaron un intenso debate filológico-literario sobre los problemas que plantea el canto infernal: la elección de un tema Dante encaja, para D’Annunzio, en un regreso a la literatura de los Orígenes, culta, folklórica y popular, no superficial en absoluto sino amalgamada con fines dramatúrgicos y expresivos. La forma de una “tragedia en verso” afirmó o, mejor dicho, reveló una relación de emulación y casi competencia con la máxima autoridad literaria. Este tema también es típico del siglo XIX, en el que, a pesar de la diversidad, no se renuncia a una comparación entre los dos personajes. Y así podemos ver cómo el sentimiento de orgullo de D’Annunzio y su tendencia a asimilarse con Dante, o al menos confundirlo y vincularlo con él en ese halo de grandeza, como si quisiera inmortalizarse con Dante para el juicio de la posteridad. Deduzco de sus propias afirmaciones: “Soy el supremo de los humanistas” y, más explícitamente: “Puedo permitirme reconocerme como el igual de Dante y Gianni delle Bande Nere; pero digo que de uno u otro me libero para ir más allá: todo dominado por un Ego inconmensurable, que es el sello inconfundible de su personalidad de granito, casi el apoyo de su ansiada grandeza.
La misma variedad de investigaciones, notas y citas, la mayoría de las cuales son atribuibles al mismo hombre Dante, representan el canal natural para introducirnos en la tradición romántica del siglo XIX, que encuentra y captura las condiciones problemáticas de pobreza, orgullo y exilio. Un conjunto de lo absoluto e inmortal que en coherencia, en la fuerza del carácter, en los rasgos secos y casi débiles de la cara, nos muestran un retrato vivo más que nunca de Dante “, en la forma en que la mortaja los envuelve alrededor del enterrado, porque todo La figura tiene algo del Lázaro resucitado, algo del hombre criado por el milagro sobre la sombra de la muerte “(Dante, los impresores y el ganadero, en Research Prose, II, Milán 1962, p. 612). De hecho, es esta imagen del hombre la que domina incluso al poeta, lo que lo convierte en un motivo de comparación, tanto que la presencia de Dante está en él, más que solo atención, concentración analítica y estímulo. El testimonio más evidente y seguro de estos estados de ánimo y su forma de acercarse a Dante se confirma con el prefacio dictado por D’Annunzio para la Divina Comedia comentada por G.L. Passerini, editado por Olschki en 1911 (ver Prose di ricerca, cit., Pp. 600 y ss.) y, sobre todo, por las notas y subrayados pegados al texto de la obra. Este prefacio representa para nosotros un elemento muy útil y precioso, porque no solo revela la relación entre Dante y D’Annunzio, sino que nos empuja a comprender el mito de Dante, lo que nos permite enuclear a un D’Annunzio que se busca a sí mismo y confiesa . Expresa su punto de vista, que sin embargo siempre y en cualquier caso, proporciona una descripción autobiográfica importante y destaca sus sentimientos, sus predilecciones, en esencia sus intereses como hombre y como poeta. De modo que, debido a solicitudes sentimentales, D’Annunzio vislumbra las virtudes del linaje en el Alighieri y las recoge y conserva en una ávida interpretación, funcional a las necesidades y sensaciones personales. Otras referencias importantes al genio, los ideales y la concepción de la vida del Poeta Supremo también se encuentran en otras grandes obras del Vate, como “Il Fuoco”, “Le Laudi” y la colección de letras “Alcyone” con implícito, explícito o alegado a la comedia de Dante. En cualquier caso, la admiración de D’Annunzio por la grandeza y el genio de Dante es completamente pacífica, incluso si solo recuerda una frase que pronunció en Florencia en 1900 durante su discurso en alabanza al poeta Supremo, según la cual “es más fácil de romper el acantilado más arduo que cambiar un verso del infierno “.
Alfonso Licata
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