Lanzarotto Malocello: un navigatore senza volto
Se ha un senso nel XIV secolo riferirsi all’Europa geografica, sicuramente Lanzarotto Malocello è stato il primo europeo a raggiungere e ri-scoprire le “Isole Fortunate” che erano state materia anche lirica e di speculazione filosofica fin dall’antichità: con lui inizia la storia moderna dell’Arcipelago Canario. Sarà proprio lui a battezzare una di queste isole con il proprio nome chiamandola Lanzarotta, oggi Lanzarote.
Che da un volto non si possa risalire ad un’identità, lascia l’animo in tumulto. Vorremmo che ogni busto, anche scheggiato, almeno di quel tempo antico che è a noi più familiare, ovvero il greco-romano, mostrasse, nel cartiglio, un nome. Di quel volto non chiederemmo gli antenati e neppure i nomi dei genitori ma ci accontenteremmo di quel nome. Se questo accade, sembra tutto in ordine e la nostra inquietudine subito si placa: dunque quel busto possiede un nome e questo fatto, subito, ci infonde coraggio. Quei tratti, di uomo o di donna, così egregiamente esposti nel marmo – pario o pentelico – ci parlano proprio in virtù di quel nome che è alla base del busto. Allora la nostra memoria, entrando in azione, elabora immagini e noi diveniamo, non proprio inconsapevolmente, custodi di nomi o, per meglio dire, di esistenze. Le possiamo ripetere a noi stessi o anche citarle a chi condivide il nostro tempo, magari svelando il luogo dove abbiamo visto quei busti con tanto di nome sotto, nel cartiglio. L’identità svelata si fa amicizia. Basta un nome e così, tra noi ed il busto, è l’amicizia ad imporsi. Il busto diviene uno di famiglia, e possiamo citarlo ad ogni momento. Quale differenza quando da un busto con cartiglio e nome, magari di Germanico o di Agrippina minore, passiamo alla semplice rappresentazione di tipi umani, come ad esempio volto di pugile, volto di rétore, volto di giovinetto, volto di filosofo, o il famosissimo ermafrodita dormiente che è il più sconosciuto tra gli sconosciuti dell’universo. Manca in tutti questi tipi umani più di qualcosa, manca il nome, ovvero l’esile elemento dell’identità che in molti casi ci aiuta a vivere e smuove subito la mente per archiviare quell’esistenza. Certamente dietro ognuno di questi tipi umani lo scultore vide esistenze vere: dunque l’assenza del nome rappresenta però individui che si mossero sulla Terra ed ebbero un nome e smossero sentimenti. Qualcuno li chiamò, ed essi, addirittura, si voltarono e risposero. Ma quando, tutto questo? bello allora ripetere a se stessi: “Anche il volto di filosofo è esistito e i suoi tratti ce lo stanno a testimoniare. Come pure l’ermafrodita dormiente.
La storia ci riserva molte sorprese e questo non soltanto da un punto di vista archeologico con nuovi tesori ad emergere in punti ritenuti impensabili, ma anche come mancanza di dati su alcune figure che hanno indubbiamente detto la loro quando ne fu tempo. È il caso del navigatore Lanzarotto Malocello il cui volto non è neppure accennato in qualche opera, sia essa di pergamena o di graffio su un muro di casa patrizia. Il marmo, poi, a ragione d’un busto, è impensabile. Per lui non avremmo preteso un busto ma almeno un disegno dei suoi tratti. E com’è possibile che di un navigatore, anzi, di colui che nel 1312 a bordo d’una nave – o più navi – superando le Colonne d’Ercole e raggiungendo le isole Canarie, non si possegga un riferimento, sia pure minimo, del suo volto? Nessuno s’occupò di lui oppure fu proprio lui che non lo ritenne necessario. Che fosse un tipo schivo, non adatto all’autocompiacimento o forse non era Genova la città d’arte giusta per simili esercizi d’ammirazione? A Firenze forse sarebbe stato ben altro affare. Gli artisti gli sarebbero forse andati incontro o, più probabilmente, respirando il fervore creativo della città, sarebbe stato lui a muovere verso una bottega. Del resto, Cimabue e la sua cerchia già operavano con Pale d’Altare e fondi oro. Ma l’incontro non vi fu anche se sarebbe potuto accadere visto che anche Lanzarotto Malocello aveva visto la luce nel XIII secolo. E così, quando arriviamo dinanzi al nome del navigatore ligure, il silenzio si fa fragore. Avendo perlustrato, per quello che era possibile, la traiettoria della sua vita, ebbene, nulla è uscito fuori del suo volto e così il Malocello è un pensiero forte ma trova la sua fragilità e la sua grandezza proprio nella mancanza d’un busto o d’un ritratto che possa svelarci i lineamenti. Egli rappresenta esattamente il contrario di quanto abbiamo detto in precedenza a proposito di quei volti anonimi bene allineati nelle sale di museo, cioè volto di vecchio, volto di filosofo, volto di giovinetto. In questo caso c’è il busto e a mancare è il nome, ovvero l’identità. Nel caso di Lanzarotto Malocello il nome storicamente brilla ma i tratti del viso sono in quell’altrove che spesso osiamo definire nulla. Se torniamo nel nostro museo abituale, quello che ci conforta, cioè quello che è riferibile al mondo greco-romano, possiamo imbatterci in statue di Cicerone, Caligola, Nerone, Ottavia, di Adriano e di sua moglie Lavinia (e addirittura dell’amante dell’imperatore, Antinoo). Ma dentro di noi, sebbene lontani, ci urlano anche i busti di Omero, di Pericle, di Demostene, di Aristotele, di Alessandro Magno, di Plotino… Ebbene, passano mille e più anni e invece di quietarci con una ritrattistica certa, ecco che i volti che c’interessano e per i quali abbiamo speso con gioia molto del nostro tempo, sono assenti, non rintracciabili, mai scolpiti né disegnati. Il nostro stupore è al sommo e non sappiamo rassegnarci e allora mettiamo in campo operazioni di supporto, di sostegno per Lanzarotto Malocello e innanzitutto lavoriamo di fantasia dipingendone noi i tratti interiormente e donandogli quanto era della sua epoca avendo visto e incontrato molti tipi umani riferibili ai secoli XIII e XIV. Ecco allora che è stata nostra l’idea di una medaglia, d’un flash medievale in bronzo su cui aggrapparci. E ciò per colmare questa lacuna e dare ad ognuno la possibilità di riconoscerlo tra la folla della Storia.
Nostra l’unica immagine, più sognata che vera, ma non per questo meno attendibile. Sapevamo di capigliature e abbigliamento in giovani uomini di quei secoli – il XIII e il XIV – e allora ci siamo lasciati andare, per così dire, ovvero abbiamo “inciso” quanto ci sembrava giusto, corretto e bene addentro in quel tempo storico. Poi la traiettoria: Genova-Isole Canarie. Questa la nostra salvezza a proposito di Lanzarotto Malocello. In mancanza del suo volto non possiamo che rivolgerci alla sua splendida azione personale, quella che, di fatto lo storicizza. Di questa traiettoria che poi, metafisicamente, è quella di ognuno di noi, sappiamo abbastanza per poter sentire amicizia nei suoi confronti, proprio quel sentimento che avvertiamo quando in un museo, il cartiglio sotto un volto di marmo ci avvisa essere quello il busto dell’imperatore Nerva, Traiano, Caracalla e suo fratello Geta. Che gioia con Caracalla! Esistono addirittura i volti dei suoi genitori, Settimio Severo e Giulia Domna, collocati poco oltre, ed essi sono visibili e sicuramente li toccheremmo se non vi fosse il sistema d’allarme…! Il poeta, il filosofo pongono continuamente domande ed una in particolare nel caso di specie: e se oltre al volto di Lanzarotto Malocello vi fossero anche quelli dei suoi genitori, di quanto aumenterebbe la nostra gioia? Non rispondiamo per non abusare di aggettivi e superlativi. Contentiamoci di sapere che Malocello si mise per mare perché la vita di tutti i giorni non gli bastava e di sicuro cercava in quell’ignoto oceano qualcos’altro, cioè il luogo dove l’orizzonte coincideva con il cielo e lì, forse, sarebbe stato possibile poter, se non scovare, almeno sentire l’odore (la sostanza) di Dio.
Prove notturne d’artista
Oltre che il silenzio, la notte abilita alla concentrazione: pare che ci si muova in quel dipinto, La città ideale, la cui attribuzione oscilla tra Piero della Francesca, Luciano Laurana e Giuliano da Sangallo. Cos’è che conferisce tanto fascino al dipinto? Fin troppo facile la risposta, l’assenza di figure umane e l’idea che la quiete possa esistere davvero. In tale capolavoro, come su un palcoscenico, si dovrebbe vivere per sempre. Essere l’unico abitante della città e, in teatro, non permettere che la rappresentazione termini. Quindi tutta la compagnia vivrebbe nel teatro concedendosi le giuste pause mai, comunque, abbandonando gli abiti di scena. La vita più protetta è soltanto quella dello spazio scenico, e, lo stesso si può dire per l’unico cittadino de La città ideale. La notte, insomma, come sospensione, da ogni ritualità e benessere per l’auscultazione del proprio respiro, del proprio battito. Proviamo ad immaginare i movimenti dell’unico abitante di quel dipinto: a cosa penserà? Avrà dissidio con qualcuno? Gli verrà teso un agguato? Sarà aggredito da un morbo? Nulla di tutto questo perché altrimenti non avrebbe senso la sua residenza in una città ideale. Ma De Chirico non viene da questo silenzio così distante da ogni aggressione? Crediamo di sì e, di certo, egli è stato abitante e residente nei suoi scorci ideali, tra Muse inquietanti, manichini e porticati. Per nostro conto, la residenza ci piacerebbe più nel secolo di Giotto o di Piero della Francesca e non in un Novecento anche se soltanto agli albori della Téchne. Quali sarebbero le azioni d’un solo uomo in una città ideale come nel famoso dipinto? Vagherebbe senza sosta, recluso nel Bello ed in una quiete sia da vivere che preparatoria a qualcos’altro. I colonnati sarebbero il suo ricovero sicuro e, per quanto riguarda, il giorno, esaminerebbe ogni pietra e marmo stupendosi di quel miracolo di colori. C’è una sorta di Pantheon nel mezzo e poi due piedistalli nella piazza, privi però di statue, come se anche il solo indizio umano, riferibile al marmo scolpito, potesse smuovere fastidio. L’umanità, dunque, fuori da lì. Ecco, la sensazione, di notte, quando si cerca l’ispirazione, non può che accadere tenendo sempre presente La città ideale. Già la sua vista provoca, anzi sollecita, quella quiete/serenità di cui s’è detto. Dovevamo concentrarci su un volto e dunque era necessaria la notte e i suoi complici. Partire con la matita e azzardare tratti, ripristinare un “sapore d’epoca” in cui vi è tutto: Bellezza, prospettive di sogno. Elementi della Natura, il sole, la luna, il vento che spinge la nave. Poi il luogo di partenza e d’arrivo, Genua→Lanzarote Insulae. Il viso d’un giovane, il copricapo da nobile, una mano destra, elegantemente esposta in un gesto che pare di benedizione al suo viaggio di cui fissa con lo sguardo sul mare la traiettoria. Un piccolo festone attorcigliato al braccio destro con su scritto Il mare unisce i paesi che separa. Questo ed altro di notte può succedere in una riconquistata quiete. Ecco, da quella notte così densa d’immagini e di agilità della matita – veramente in momenti da prove d’artista – Lanzarotto Malocello ha una sua carta d’identità con un volto ed anche un nome. La storia sembra d’ora in avanti avere una iconografia esatta e forse, da quei momenti notturni in avanti – poi sapientemente riprodotti su una medaglia – ogni libro di testo potrà con discrezione accogliere tali tratti facendo riemergere un’esistenza per tanto tempo rimasta nell’oblio.
(Tratto dal libro “Lanzarotto Malocello, dall’Italia alle Canarie”, secondo volume, anno 2018; autori Alfonso Licata e Fernando Acitelli)
LANZAROTTO MALOCELLO DESCUBRIDOR DE CANARIAS, UN NAVEGADOR SIN CARA
Si tiene sentido en el siglo XIV referirse a la Europa geográfica, seguramente Lanzarotto Malocello fue el primer europeo en alcanzar y redescubrir las “Islas Afortunadas”, que habían sido materia lírica y especulación filosófica desde la antigüedad: con él comienza la historia moderna del archipiélago Canario. Bautizará una de estas islas con su nombre llamándola Lanzarotta, hoy Lanzarote.
Que desde un rostro no podamos llegar a una identidad, es algo que deja el alma confusa. Nos gustaría que cada busto, incluso mellado, al menos de ese tiempo antiguo que nos es más familiar, es decir, el grecorromano, mostrase un nombre en el rótulo. De ese rostro no pediríamos los antepasados ni los nombres de los padres, sino que estaríamos satisfechos con ese nombre. Si esto acontece, todo parece en orden y nuestra inquietud disminuye inmediatamente: así, ese busto tiene un nombre y este hecho, de inmediato, nos infunde valor. Esos rasgos, de hombre o de mujer, tan bien exhibidos en el mármol (paros o pentélico), nos hablan precisamente en virtud de ese nombre que está en la base del busto. Entonces nuestra memoria, al entrar en acción, procesa las imágenes y nos convertimos, en realidad no inconscientemente, en custodios de nombres o, mejor dicho, de existencias. Nos los podemos repetir a nosotros mismos o incluso mencionarlos a quienes comparten nuestro tiempo, tal vez descubriendo el lugar donde vimos esos bustos con un nombre debajo, en el rótulo. La identidad revelada hace amigos. Basta con tener un nombre y, de esa manera, entre nosotros y el busto se impone la amistad. El busto se convierte en alguien de la familia y podemos mencionarlo en cualquier momento. Qué diferencia cuando de un busto con rótulo y nombre, quizás de Germánico o de Agripina la Menor, pasamos a la simple representación de formas humanas, como, por ejemplo, el rostro de un luchador, el rostro de un héroe, el rostro de un joven, el rostro de un filósofo o el famosísimo Hermafrodita durmiente, que es el mayor desconocido entre todos los desconocidos del universo. En todas estas formas humanas, falta más que nada el nombre o el elemento delgado de la identidad que en muchos casos nos ayuda a vivir e inmediatamente activa la mente para almacenar esa existencia. Sin duda, detrás de cada una de estas formas humanas, el escultor vio existencias reales: por tanto, la ausencia del nombre, sin embargo, representa individuos que se movieron en la Tierra, consiguieron un nombre y agitaron sus sentimientos. Alguien los llamó y ellos, de hecho, se giraron y respondieron. Pero, todo esto ¿cuándo ha sucedido? Amigo, repítete a ti mismo: “incluso el rostro de un filósofo ha existido y sus rasgos están ahí para atestiguarlo. Así como el Hermafrodita durmiente”.
La historia nos reserva muchas sorpresas y no solo desde un punto de vista arqueológico con nuevos tesoros, emergiendo en puntos considerados impensables, sino también como falta de datos sobre algunas figuras, que indudablemente dijeron a los suyos cuándo era el momento. Este es el caso del navegante Lanzarotto Malocello, cuyo rostro ni siquiera se menciona en algunos trabajos, ya sea en pergaminos o en el arañazo del muro de una casa patricia. Luego, un busto de mármol es impensable. De él no hubiéramos exigido un busto, pero si al menos un dibujo de sus rasgos. Y, ¿cómo es posible que un navegante que, de hecho, en 1312 fue a bordo de un buque (o más), superando las Columnas de Hércules y llegando a las Islas Canarias, no tenga una referencia, aunque mínima, de su rostro? Nadie se ocupó de ello o fue él mismo quien no lo consideró necesario. ¿Se trataba de un chico tímido, no apto para la autocomplacencia o es que quizás Génova no era la ciudad de arte adecuada para tales ejercicios de admiración? En Florencia, tal vez, hubiera sido distinto. Los artistas podrían haber ido a su encuentro o, más probablemente, respirando el fervor creativo de la ciudad, podría haber acabado en una tienda. Por lo demás, Cimabue y su círculo ya trabajaron con retablos, altares y fondos de oro. Pero no hubo encuentro, aunque podría haber sucedido ya que Lanzarotto Malocello había visto la luz en el siglo XIII. Y así, cuando estamos frente al nombre del navegante de Liguria, el silencio surge como un estruendo. Habiendo rastreado la trayectoria de su vida, en la medida de lo posible, nada ha salido de su rostro y, por lo tanto, Malocello es un pensamiento fuerte, pero encuentra su fragilidad y su grandeza precisamente en la ausencia de un busto o de un retrato que pueda revelar sus facciones o rasgos. Representa exactamente lo contrario a lo que hemos comentado anteriormente sobre esas caras anónimas bien alineadas en los pasillos de un museo; es decir, la cara de un anciano, la cara de un filósofo, la cara de un joven. En este caso hay un busto pero falta el nombre, la identidad. En el caso de Lanzarotto Malocello, el nombre brilla históricamente, pero las características de la cara están en ese lugar en el que a menudo nos atrevemos a definir como nulo. Si regresamos a nuestro museo habitual, el que nos reconforta, es decir, el que se refiere al mundo grecorromano, podemos encontrar estatuas de Cicerón, Calígula, Nerón, Octavia, Adriano y su esposa Lavinia (e incluso de la amante del emperador Antínoo). Sin embargo, dentro de nosotros, aunque lejos, también nos gritan los bustos de Homero, Pericles, Demóstenes, Aristóteles, Alejandro Magno, Plotino … Pues bien, pasan más de mil años y, en lugar de apaciguarnos con un cierto retrato, sucede que los rostros que nos interesan y por los cuales hemos pasado gran parte de nuestro tiempo con alegría, están ausentes, no se pueden rastrear y nunca han sido tallados o dibujados. Nuestro asombro está en lo más alto y no sabemos cómo resignarnos; entonces, llevamos a cabo operaciones de apoyo para Lanzarotto Malocello y, ante todo, trabajamos con imaginación, pintando nuestras características y rasgos internamente, dándole lo que era de su tiempo después de haber visto y conocido a muchos tipos a los que se puede hacer referencia de los siglos XIII y XIV. Entonces surgió la idea de una moneda, un destello de bronce medieval al que aferrarse. Todo ello, para llenar ese vacío y dar a todos la oportunidad de reconocerlo entre la multitud de la historia.
Nuestra única imagen, más soñada que real, pero no por ello menos fiable. Teníamos conocimiento sobre el cabello y la ropa de los jóvenes de aquellos siglos, el XIII y el XIV; y nos dejamos llevar, es decir, “grabamos” lo que parecía justo, correcto y bueno en esa época histórica. Luego, la trayectoria: Génova-Islas Canarias. Esta es nuestra salvación al hablar de Lanzarotto Malocello. En ausencia de su rostro solo podemos recurrir a su espléndida acción personal, la que, de hecho, le convierte en alguien histórico. De esta trayectoria que, metafísicamente, es la de cada uno de nosotros, sabemos lo suficiente como para sentir simpatía hacia él. Es justo ese sentimiento que sentimos cuando en un museo vemos que el rótulo por debajo de una cara de mármol nos advierte de que se trata del busto del emperador Nerva, Trajano, Caracalla y su hermano Geta. ¡Qué alegría con Caracalla! ¡Incluso el rostro de sus padres, Septimio Severo y Julia Domna, están colocados un poco más lejos, son visibles y seguramente los tocaríamos si no hubiera un sistema de alarma! … El poeta y el filósofo continuamente se hacen preguntas y una, en particular, en este caso: y, si además de la cara de Lanzarotto Malocello, también estuviesen las de sus padres, ¿cuánto aumentaría nuestra alegría? No vamos a responder a esta cuestión para no abusar de adjetivos y superlativos. Estemos contentos de saber que Malocello se embarcó en el mar porque la vida cotidiana no era suficiente para él y, con seguridad, estaba buscando algo más en ese océano desconocido, es decir, ese lugar donde el horizonte se junta con el cielo. Quizás, él pudo, si no descubrirlo, al menos sentir el aroma (la esencia) de Dios.
Pruebas nocturnas del artista
Además del silencio, la noche permite la concentración: parece que nos movemos en esa pintura, La ciudad ideal, cuya atribución oscila entre Piero della Francesca, Luciano Laurana y Giuliano da Sangallo. ¿Qué es lo que le da tanto encanto a la pintura? La respuesta es demasiado fácil, la ausencia de figuras humanas y la idea de que la quietud realmente puede existir. En tal obra maestra, como en un escenario, uno vive eternamente. Ser el único habitante de la ciudad y, en el teatro, no permitir que la representación finalice. Así que toda la compañía viviría en el teatro, concediéndose siempre las pausas justas, aunque abandonando el vestuario de la función. La vida más protegida es únicamente la del espacio escénico, y lo mismo puede decirse del único ciudadano de La ciudad ideal. La noche, por tanto, como suspensión, por cada ritual y bienestar para auscultar la respiración, el propio latido. Tratemos de imaginar los movimientos del único habitante de esa pintura: ¿qué pensará él?, ¿estará en desacuerdo con alguien?, ¿le tenderán una emboscada?, ¿le atacará una enfermedad? Nada de esto, porque, de lo contrario, su residencia en una ciudad ideal no tendría sentido. Pero, ¿no viene De Chirico desde este silencio tan distante de cualquier agresión? Creemos que sí y, desde luego, ha sido habitante y residente de sus visiones ideales, entre Musas inquietantes, maniquíes y pórticos. Para nosotros, la residencia que más nos gustaría sería la del siglo de Giotto o de Piero della Francesca, y no la del siglo XX, aunque solo sea en los albores de la Techné. ¿Cuáles serían las acciones de un solo hombre en una ciudad ideal como en el famoso cuadro? Deambularía sin parar, recluido en lo bello y en la quietud, tanto para vivir como para prepararse para otra cosa. Las columnatas serían su refugio seguro y, hasta que acabase el día, examinaría cada piedra y mármol asombrado por ese milagro de colores. Hay una especie de panteón en el medio y luego dos pedestales en la plaza, pero sin estatuas, como si incluso el único indicio humano, referible al mármol tallado, pudiese causar incomodidad. La humanidad, por tanto, se encuentra fuera de ahí. El sentimiento, por la noche, al buscar inspiración, no puede ocurrir teniendo siempre en cuenta La ciudad ideal. Su visión ya provoca, de hecho insta, esa quietud y serenidad de la que hemos hablado. Teníamos que centrarnos en una cara y, por ello, fueron necesarios la noche y sus cómplices. Comenzar con el lápiz y adivinar rasgos, restaurar un “sabor antiguo” en el que hay de todo: Belleza, perspectivas de sueño. Elementos de la naturaleza, el sol, la luna, el viento que empuja el buque. Entonces, el lugar de salida y llegada, Genua Lanzarote Insulae. La cara de un hombre joven, el peinado noble, una mano derecha, elegantemente expuesta en un gesto que parece bendecir su viaje, del cual fija la trayectoria con una mirada hacia el mar. Una pequeña guirnalda enredada en el brazo derecho con la inscripción El mar une los países que separa. Esto y más es algo que puede suceder por la noche en una quietud reconquistada. De aquella noche tan llena de imágenes y de agilidad con el lápiz (realmente en momentos de prueba del artista), Lanzarotto Malocello tiene su tarjeta de identidad, con un rostro y también un nombre. A partir de ahora, la historia parece tener una iconografía exacta y, quizás, desde esos momentos nocturnos en adelante – hábilmente reproducida en una medalla – cada libro de texto podrá aceptar discretamente estos rasgos al resurgir una existencia que ha permanecido en el olvido durante tanto tiempo.
(Tomado del libro “Lanzarotto Malocello, de Italia a las Islas Canarias”, segundo volumen, año 2018,Editor Liga Naccional Italiana; autores Alfonso Licata y Fernando Acitelli)