Tradurre Dante
di Settimio Cavalli
Quando, tanto tempo fa a San José in Costarica, incontrai in un negozietto una versione spagnola in prosa della Divina Commedia, non resistii alla tentazione e la comprai. Non c’era il nome del traduttore, né curatore, nemmeno il ©, peró ‘Panamericana Editorial, Bogotá, 1989’. Cominciava direttamente cosí:
A la mitad del viaje de nuestra vida me encontré en una selva oscura, por haberme desviado del camino recto. ¡Ah, cuán triste me sería decir lo salvaje, áspera y espesa que era esta selva, cuyo recuerdo renueva mi pavor, que supera al de la muerte!
Allora non sapevo il castigliano, neppure avevo riletto la Commedia dopo aver dovuto affrontare la sua lettura obbligatoria al liceo; così il libretto finí a prender polvere nella libreria. Ma il tempo passa e mi è venuta voglia di rispondere a una domanda: “Come si puó tradurre Dante?”. Ho recuperato il libretto, che d’ora in avanti indicheró come ‘Bogotá’, e affiancato due delle traduzioni castigliane piú apprezzate: quelle di Ángel Crespo e di José María Micó.
La ‘Crespo’, pubblicata fra il 1973 e il 1977 da Seix Barral, conserva in castigliano il terzetto incatenato, un tipo di strofa che Crespo considera indispensabile per offrire al lettore una vera Commedia castigliana, essendo questo tipo di composizione così intimamente unito al significato globale dell’opera e al contempo depositario di una parte delle chiavi necessarie per la sua completa comprensione.
La maggioranza delle traduzioni della Commedia in castigliano contemporaneo sono in prosa [… e la loro] apparente, e ingannevole, chiarezza […] ha fatto sí che siano le preferite dei lettori incolti e, per mia personale esperienza, degli stessi universitari. […] La mia [traduzione] doveva essere in versi e, naturalmente, in terzetti incatenati, esigenza che mi imponevano le mie convinzioni – sia di lettore come di autore – con forza ineludibile.
Certamente, stando così le cose, rispettare le rime fu forse la maggior difficoltá della traduzione, “il vero inferno del traduttore”.
Ben diversa l’ opinione di Micó, che scrive nella sua Comedia (Acantilado Quaderns Crema, Barcelona 2020):
Il testo dei classici gode del privilegio di essere perenne, però ogni epoca richiede le sue traduzioni.[…] Dante è stato tradotto molte volte e in molti modi […]: prosa di servizio, sforzati terzetti, culte coplas de arte mayor [strofe di otto versi endecasillabi rimati sullo schema abbaacca] e popolari quintille [strofe di cinque versi, generalmente ottonari, a consonanza alternata]. È stato cosí anche negli ultimi cinquanta anni: circolano versioni in prosa, in falso verso, in endecasillabi sciolti e in terzetti incatenati. Ho deciso di tradurre in endecasillabi sciolti con assonanze non sistematiche, rispettando la sintassi e la disposizione strofica dei terzetti prescindendo dalla rima consonante incatenata […] Tradurre la Commedia è un lavoro estenuante, físicamente e mentalmente, e non solo per la sua lunghezza […], ma per la ricchezza semantica e la profondità poetica dei suoi innumerevoli tesori verbali.
Centinaia, forse migliaia, sono – fra i 14.233 della Commedia – i versi che ci possono aiutare a capire cosa vuol dire tradurre la Commedia. Tra tutti, ne abbiamo scelti alcuni come esempio per confrontare l’ originale dantesco (in alto), con la traduzione ‘Crespo’ (a sinistra), la ‘Micó’ (a destra) e, ovviamente, quella che abbiamo chiamato ‘Bogotá’ (in basso). Cominciamo con tre strofe, non potrebbe essere un altro numero, da sempre considerate problematiche e, conseguentemente, quasi intraducibili.
Per prima, quella del misterioso ‘veltro’ (Inferno I 100-102): Molti son li animali a cui s’ammoglia, / e più saranno ancora, infin che ‘l veltro / verrà, che la farà morir con doglia.
Con muchos animales se desposa Con muchos animales se aparea,
y muchos más serán hasta el momento y muchos más serán, hasta que llegue
en que le dé el Lebrel muerte espantosa. el lebrel que le dé muerte terrible.
Che ‘Bogotá’ risolve brutalmente: Muchos son los animales a quienes se ayunta, y serán aún muchos más hasta que venga el Lebrel* y la haga morir entre horribles sufrimientos. (*Señor de Verona, protector de Dante.)
De minimis non curat praetor, però… La vu di ‘veltro’, minuscola in Dante e ‘Micó’, diventa maiuscola nel Lebrel della ‘Crespo’; è forse il soprannome di un uomo? Nella ‘Bogotà’ sì.
Poi, il minaccioso ‘pape Satán’ (Inferno VII 1-2): “Pape Satàn, pape Satàn aleppe!” / cominciò Pluto con la voce chioccia;
Con ronca voz, Pluto, “¡Papé Satán, “¡Pape Satán, pape Satán, alepe!”,
papé Satán, aleppe¡”, empezó al vernos. vociferó Plutón con su voz ronca.
‘Bogotà’, come al solito, non ha dubbi nel chiarire: Con cavernosa voz comenzó a decir Plutón: “Papé Satán; papé Satán; aleppe”.* (*En hebreo: Ilumínese la faz de Satán, resplandezca la faz de Satán, el Príncipe”.)
In fine, saliamo al Paradiso per ‘trasumanar’ (Paradiso I 70-73): Trasumanar significar per verba / non si poria; però l’essemplo basti / a cui esperienza grazia serba.
Transhumanar significar hablando Trashumanar no puede definirse
no se podría; y el ejemplo baste per verba, y el ejemplo anterior baste
a quien lo esté la gracia demostrando. a quien merezca un día la experiencia.
‘Bogotà’ semplifica abbastanza: No hay manera de decir con palabras lo que sucede al pasar a un grado superior y cómo lo experimenta la naturaleza humana.
Certamente tradurre la Commedia non è solamente un problema di rime, di parole e di assonanze. Come può il ‘fido interprete oraziano’ risolvere i problemi di stile e contenuto poetico? Ecco, como guida, la definizione di dolce stil novo che ci offre Dante stesso (Purgatorio XXIV 49-54): “Ma dí s’ i’ veggio qui colui che fore / trasse le nove rime, cominciando / ‘Donne ch’ avete intelletto d’amore’ “. / E io a lui: “I’ mi son un che, quando / Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando”.
“Mas dime si estoy viendo al contemplarte “Mas dime si estoy viendo al creador
al que hizo nuevas rimas comenzando: de aquellas nuevas rimas que comienzan
‘Damas que del amor sabéis el arte’.” ‘Mujeres que entendéis lo que es Amor’ “.
Le contesté: “Yo soy uno que, cuando Le contesté: “Yo soy de los que, cuando
Amor me inspira, escribo, y el acento Amor me inspira, anoto, y lo que dentro
que dicta dentro voy significando”. me dicta, yo lo voy significando”.
Pero, dime, ¿no estoy viendo el autor de una rimas que comienzan así: Donne, ch’ avete intelletto d’amore? Le respondí: – Yo soy uno que va recogiendo lo que el Amor inspira, y procura luego expresarlo tal como lo siente dentro de su alma.
È forse la Commedia ispirata dall’ amore ed espressa come Dante la sentiva in cuor suo? Certamente ci sono tracce di stilnovismo, ma l’ amore che la ispira e la invade si concretizza seguendo il progetto tracciato dalla disciplina della mente e non tanto e non solo per la improvvisa ispirazione di un cuore estasiato. Una mente unica, che seppe trasformare una summa medievale di contenuto storico, sociale, filosofico e teologico in vera poesia.
Citando per l’ultima volta Crespo, e parafrasandolo, sottoposta questa visione estremamente sintetica di come tradurre Dante ai miei dotti lettori, mi affretto a scusarmi della stanchezza che ho loro causato e degli errori che, sicuramente, ho commesso. Per quanto mi riguarda, reso grazia a tutti i traduttori che hanno fatto della Commedia un ineguagliabile riferimento letterario a livello mondiale, ammetto che aveva ragione Giampaolo Dossena (Dante, Longanesi 1995): “ […] vale la pena di sapere l’italiano per poterla leggere, anzi per poterla leggere varrà la pena di studiare l’italiano, quando l’italiano sarà una lingua morta”.
Settimio Cavalli
Traducir a Dante
di Settimio Cavalli
Cuando, hace tiempo en San José de Costa Rica, encontré en una pequeña tienda una versión, prosada, en español de la Divina Comedia, no pude resistir la tentación y la compré. No tenía el nombre del traductor, ni editor; tampoco había ©, pero sí ‘Panamericana Editorial, Bogotá, 1989’. Empezaba abruptamente así:
A la mitad del viaje de nuestra vida me encontré en una selva oscura, por haberme desviado del camino recto. ¡Ah, cuán triste me sería decir lo salvaje, áspera y espesa que era esta selva, cuyo recuerdo renueva mi pavor, que supera al de la muerte!
En aquel tiempo no dominaba el castellano, tampoco había vuelto a leer la Commedia transcurrido ya bastante tiempo desde que tuve que enfrentarme a su lectura obligatoria en el bachillerato; y el librito se fue a coger polvo en la estantería. Pero el tiempo pasa, y entonces me surgió el deseo de contestar una pregunta: “Como se puede traducir a Dante?”. Finalmente he retomado el librito, que desde ahora llamaré ‘Bogotá’, y lo confronto con dos de las traducciones castellanas más apreciadas: la de Ángel Crespo y la de José María Micó.
La ‘Crespo’, publicada entre 1973 y 1977 por Seix Barral, conserva en castellano el terceto encadenado, una forma estrófica que Crespo considera indispensable para presentar al lector una verdadera Comedia castellana, al estar esta forma de composición tan íntimamente unida al significado global de la obra, a la vez que recoger parte de las claves necesarias para su cabal comprensión.
La mayoría de las traducciones de la Comedia al castellano contemporáneo lo son en prosa [… y su] aparente, y engañosa, claridad […] ha hecho que sean las preferidas de los lectores legos y, en cuanto a mi experiencia se refiere, de los mismos universitarios. […] La mía [traducción] había de ser en verso y, naturalmente, en tercetos encadenados, exigencia que me imponían mis convicciones – tanto de lector como de autor – de forma contundente e insoslayable.
Ciertamente, así las cosas, respetar las rimas fue tal vez la mayor dificultad de la traducción, “el verdadero infierno del traductor”.
Muy distinta la opinión de Micó, que escribe en su Comedia (Acantilado Quaderns Crema, Barcelona 2020):
El testo de los clásicos goza el privilegio de la perennidad, pero cada época requiere sus traducciones. […] Dante ha sido traducido muchas veces y de muchas maneras […]: prosa de servicio, esforzados tercetos, cultas coplas de arte mayor y populares quintillas. También ha sido así en los últimos cincuenta años: circulan versiones en prosa, en falso verso, en endecasílabos sueltos y en tercetos encadenados. He decidido traducir en endecasílabos sueltos que presentan asonancias no sistemáticas, respetando la sintaxis y la disposición estrófica de los tercetos y prescindiendo de la rima consonante encadenada […] Traducir la Comedia es una labor extenuante, física y mentalmente, y no sólo a causa de su extensión […], sino por la concentración semántica y la profundidad poética de sus innumerables tesoros verbales.
Cientos y cientos, tal vez miles, son – entre los 14.233 de la Commedia – los versos que nos pueden ayudar a comprender lo que significa traducir la Commedia. Entre todos ellos, hemos elegido unos pocos como comparación, con el fin de cotejar el original dantesco (arriba), con la traducción de Crespo (a la izquierda), la de Micó (a la derecha) y, por supuesto, con la que hemos llamado ‘Bogotá’ (abajo). Empezamos con tres tercetos, no podría ser otro número, que desde siempre son considerados problemáticos y, consecuentemente, casi intraducibles.
Primero, el del misterioso ‘veltro’ (Infierno I 100-102): Molti son li animali a cui s’ammoglia, / e più saranno ancora, infin che ‘l veltro / verrà, che la farà morir con doglia.
Con muchos animales se desposa Con muchos animales se aparea,
y muchos más serán hasta el momento y muchos más serán, hasta que llegue
en que le dé el Lebrel muerte espantosa. el lebrel que le dé muerte terrible.
Que Bogotá resuelve brutalmente: Muchos son los animales a quienes se ayunta, y serán aún muchos más hasta que venga el Lebrel* y la haga morir entre horribles sufrimientos. (*Señor de Verona, protector de Dante.)
De minimis non curat praetor, pero… La uve de ‘veltro’, minúscula en Dante y Micó, se mayusculiza en el Lebrel de Crespo; ¿acaso es el apodo de un hombre?: en ‘Bogotà’ sì lo es.
Pues, el amenazante ‘pape Satán’ (Infierno VII 1-2): “Pape Satàn, pape Satán aleppe!” / cominciò Pluto con la voce chioccia;
Con ronca voz, Pluto, “¡Papé Satán, “¡Pape Satán, pape Satán, alepe!”,
papé Satán, aleppe¡”, empezó al vernos. vociferó Plutón con su voz ronca.
‘Bogotà’, como de costumbre, no tiene duda en aclarar: Con cavernosa voz comenzó a decir Plutón: “Papé Satán; papé Satán; aleppe”.* (*En hebreo: ”Ilumínese la faz de Satán, resplandezca la faz de Satán, el Príncipe”.)
Y finalmente, subimos al Paraíso para ‘trasumanar’ (Paraíso I 70-73): Trasumanar significar per verba / non si poria; però l’essemplo basti / a cui esperienza grazia serba.
Transhumanar significar hablando Trashumanar no puede definirse
no se podría; y el ejemplo baste per verba, y el ejemplo anterior baste
a quien lo esté la gracia demostrando. a quien merezca un día la experiencia.
‘Bogotà’ simplifica bastante: No hay manera de decir con palabras lo que sucede al pasar a un grado superior y cómo lo experimenta la naturaleza humana.
Ciertamente, traducir la Commedia no es solamente un problema de rimas, de palabras, y de asonancias. ¿Cómo pueden solucionar las cuestiones de estilo y contenido poético los ‘fidus enterpres horacianos’? Aquí, como guía, la definición de ‘dolce stil novo’ que nos ofrece el mismísimo Dante (Purgatorio XXIV 49-54): “Ma dí s’ i’ veggio qui colui che fore / trasse le nove rime, cominciando / ‘Donne ch’ avete intelletto d’amore’ “. / E io a lui: “I’ mi son un che, quando / Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando”.
“Mas dime si estoy viendo al contemplarte “Mas dime si estoy viendo al creador
al que hizo nuevas rimas comenzando: de aquellas nuevas rimas que comienzan
‘Damas que del amor sabéis el arte’.” ‘Mujeres que entendéis lo que es Amor’ “.
Le contesté: “Yo soy uno que, cuando Le contesté: “Yo soy de los que, cuando
Amor me inspira, escribo, y el acento Amor me inspira, anoto, y lo que dentro
que dicta dentro voy significando”. me dicta, yo lo voy significando”.
Pero, dime, ¿no estoy viendo al autor de unas rimas que comienzan así: Donne, ch’ avete intelletto d’amore? Le respondí: – Yo soy uno que va recogiendo lo que el Amor inspira, y procura luego expresarlo tal como lo siente dentro de su alma.
Acaso, ¿está inspirada la Commedia por el amor, y expresada como Dante la sentía dentro de su alma? Ciertamente hay rasgos de stilnovismo, pero el amor que la inspira y la invade se expresa más bien a través del programa que ha trazado una mente disciplinada y no únicamente por la súbita inspiración de un corazón arrebatado. Una mente única, que supo transformar una suma medioeval de carácter histórico, social, filosófico y teológico en un compendio de verdadera poesía.
Citando por última vez a Crespo, y parafraseando sus palabras, sometida ya al juicio de mis doctos lectores esta visión extremamente sintética de como traducir a Dante, me apresuro a disculparme por el cansancio causado y por los errores en que, sin duda, habré incurrido. Y por lo que a mí se refiere, rendidas las gracias a todos los traductores que hicieron de la Commedia una inigualable referencia literaria mundial, reconozco que tenía razón Giampaolo Dossena (Dante, Longanesi 1995): [leer la Commedia] “es un hecho por el cual merece la pena conocer el italiano y merecerá la pena estudiarlo cuando el italiano sea una lengua muerta”.